Lo “strizzacervelli” digitale, specchio dei nostri tempi…malati

Il team di Woebot

di ROSITA SPINOZZI –

Ormai su Facebook è possibile trovare di tutto e di più. Mai però avrei ventilato l’ipotesi di uno psicologo robot di nome Woebot, disponibile 24 ore su 24. Tutti i giorni. Per di più gratuito, in quanto raggiungibile attraverso l’applicazione Messenger. La faccenda – nata dalla fervida mente della psicologa clinica all’Università di Stanford, Alison Darcy- sta diventando un fenomeno globale già ancora prima che il suddetto strizzacervelli si trasformi, presumibilmente entro fine anno, in un’app. Woebot (“woes” termine inglese per indicare “sofferenze”  e “bot”  abbreviazione di “robot”), realizzato da un team di ricercatori dell’università californiana di Stanford, è nato per spazzare via ansie, depressioni e disturbi psicologici di quanti non possono permettersi di andare dall’analista. Oppure, semplicemente, non ne hanno il coraggio. Woebot, in questo caso, viene visto come un amico di Facebook con cui scambiare opinioni, confrontarsi senza il “disagio” di interloquire con una persona guardandola in viso. È un po’ lo specchio inquietante dei nostri tempi, in cui tutto si consuma velocemente attraverso il web, facendoci dimenticare la bellezza del contatto umano. Il robot strizzacervelli rischia di diventare un business che in futuro, dicono gli ideatori, avrà un costo che si aggira intorno ai 39 dollari al mese, pari al 5% del costo di un ciclo di terapia negli Stati Uniti. Finora si rivolgono a Woebot utenti compresi in una fascia d’età tra i 18 e 35 anni, ma anche parecchi cinquantenni: i minorenni, trovandosi il servizio su Facebook, non possono accedere. Il novello psicologo digitale non fa diagnosi, ma aiuta a trovare le risposte dentro di sé, tengono a sottolineare i “genitori” del robot che, dati alla mano, confermano di ricevere circa 2 milioni di messaggi alla settimana da oltre 140 Paesi del mondo. Woebot parla in lingua inglese, tra breve anche in spagnolo, ma non comunicherà mai tramite forma vocale perché i pensieri scritti hanno una valenza diversa in ambito terapeutico. Questo per la cronaca. Da un punto di vista personale sono alquanto perplessa: se da un lato è vero che la psicanalisi ha un costo elevato in Occidente e che in Paesi come India e Cina le strutture a cui rivolgersi sono davvero poche, dall’altro è lecito pensare che tutto ci sta sfuggendo di mano. Che la rete ci assorbe sempre di più, e tra breve ci saranno sempre più persone che dimenticheranno quant’è bello fare una passeggiata all’aria aperta, prendere un caffè insieme, scrivere un biglietto di auguri. Adesso ci si cura pure sul web. L’analisi è una cosa seria, non si scherza. Lo studio di uno psicologo è intriso di esperienza e le sue pareti raccontano molte storie, sussurrate in punta di piedi, con pudore, coraggio, e desiderio di uscire fuori dal tunnel della sofferenza interiore. Siamo anime fragili, nonostante la corazza che indossiamo per vivere. Non metto in discussione i principi base che animano il progetto Woebot e le competenze profuse nel settore dalla dottoressa Darcy e dal suo team, come pure attribuisco valore all’importanza della scrittura, alla volontà di andare incontro a chi ha difficoltà economiche, ma resto del parere che la malattia non può diventare un business curabile attraverso un’ app. Gratuita o a buon prezzo che sia. Preferisco lo psicologo in carne e ossa che mi guarda negli occhi quando parlo e, prima di andare via, scrive su un foglietto la data del prossimo appuntamento. Il computer, almeno per questo, non serve.