Francesco Tranquilli, la poesia e l’”ardiente paciencia” di Pablo Neruda

di ROSITA SPINOZZI –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO –  Celebrare la Giornata Mondiale della Poesia “riportando in vita” Pablo Neruda. Anzi, per l’esattezza Matilde Urrutia, sua terza moglie nonchè musa per più di vent’anni. È un modo sicuramente originale per accogliere il 21 marzo che, oltre a fare l’inchino alla primavera, ricorda a tutti noi la bellezza disarmante e salvifica della poesia. Questo e molto altro ancora si appresta a fare l’Associazione MultiCulturale VisionAria che domani, martedì 21 marzo alle ore 21, porterà in scena al Teatro Concordia il monologo in tre tempi “Ardiente Paciencia – La mia vita con Pablo Neruda” interpretato dall’attrice Valentina Pacetti. Scritto e diretto da Francesco Tranquilli, autore anche delle musiche di scena e delle canzoni, lo spettacolo si avvale dei bellissimi arrangiamenti musicali di Marco Primavera, ed è prodotto in collaborazione con il Comune e il Club per l’Unesco di San Benedetto del Tronto. Per saperne di più abbiamo incontrato Francesco Tranquilli, professore, attore, regista, scrittore e chi più ne ha ne metta, visto che adesso si è messo pure a comporre musica. E lo fa anche bene. Quest’uomo ha il pregio di saper fare tante cose e l’entusiasmo di portarle avanti con passo sereno e determinato. E siccome è parecchio alto di statura, di conseguenza ha gambe lunghissime, quindi potete immaginare i suoi passi: autentiche “falcate”. Verso il successo. Come tradizione vuole, ad ogni suo nuovo libro, spettacolo o progetto che sia, ci incontriamo sempre in redazione. E dalle nostre piacevoli conversazioni nasce sempre spontanea un’intervista. Questa volta abbiamo parlato con “ardiente paciencia” di Pablo Neruda. Scusate se è poco…

Ma chi è stato Pablo Neruda?
Gabriel Garcia Márquez disse di lui che era stato il più grande poeta del ‘900 “in qualsiasi lingua”. Di certo ha cantato l’amore, i diritti civili, il progresso, la libertà del popolo con una forza evocativa che ha pochi confronti. É stato il secondo autore cileno, e per ora l’ultimo, a vincere il Premio Nobel per la Letteratura, nel 1971. E siccome i poeti, nella loro visionarietà, possono essere pericolosi, Neruda – che era stato ambasciatore del suo paese in mezzo mondo, e in tutto il mondo aveva amici – fu uno dei primi bersagli della giunta golpista capeggiata da Pinochet. Di fatto, il poeta sopravvisse al golpe solo 12 giorni, dall’11 al 23 settembre del 1973. E oggi sappiamo con certezza quello che da subito si diffuse come terribile sospetto: non morì di morte naturale, fu assassinato. Le sue case furono saccheggiate e distrutte, i suoi libri bruciati in piazza. La sua terza moglie, Matilde Urrutia, che aveva sposato nel 1966 ma che amava dai primi anni ‘50, restò unica testimone e custode della sua memoria. Nel 1985 scrisse un’autobiografia che si intitolava “Non sono fatta per vivere nelle tenebre”. Ma il libro, fu pubblicato postumo col titolo “La mia vita con Pablo Neruda”; probabilmente il testo fu anche rimaneggiato e in parte riscritto. A quel libro è ispirato questo monologo drammatico con canzoni.

Com’è nata l’idea di scriverlo?
Nel 2020 presentai il libro di Roberto Ippolito “Delitto Neruda”, dove si raccontava l’inchiesta aperta solo nel 2017 sulla morte di Neruda, che all’epoca fu attribuita a cause naturali, ma in un quadro così misterioso e lacunoso che solo l’atmosfera di terrore che la dittatura aveva creato poteva far passare per buono. In quell’occasione mi venne l’idea di celebrare il cinquantenario della morte, che sarebbe arrivato nel 2023, con un monologo da scrivere per Valentina Pacetti, con cui collaboravo da poco tempo. Ci stringemmo la mano. Ho mantenuto la parola. Quello che non sapevo allora è che avrei scritto anche tre canzoni in spagnolo, due delle quali su testi di Neruda, e le altre musiche di scena. Gli arrangiamenti, bellissimi, sono invece di Marco Primavera.

Cosa ci racconta Matilde in “Ardiente Paciencia”?
Il monologo è in tre parti: si inizia dai terribili momenti del golpe, si racconta la morte del poeta, poi nella seconda parte, con un lungo flashback, si ripercorre la storia del loro amore dai primi anni ‘50 fino al 1973. Nella terza parte Matilde ci parla della sua terza vita, quella da vedova, dal 1973 al 1985, quando mantenne viva la memoria del poeta e la promessa che gli aveva fatto, di non abbandonare mai il Cile. Ma forse fareste meglio a chiedere a lei.

Perché no? Le interviste impossibili ci sono sempre piaciute. Allora le domande più intime le rivolgeremo a lei, se vorrà risponderci. A te solo l’ultima: da dove deriva il titolo dello spettacolo?
“Ardiente paciencia” è la traduzione di un passaggio di “Una stagione all’inferno” di Rimbaud, che Neruda citò nel suo discorso di accettazione del Nobel, nel 1971: «All’aurora, armati di un’ardente pazienza, entreremo nelle splendide Città». Queste città, per Neruda, erano quelle della pace, del progresso e della libertà. Anche lo scrittore cileno Antonio Skarmeta, nel 1986, ha usato queste parole come titolo del suo romanzo, che poi cambierà in “El cartero (il postino) de Neruda”.

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