L’entropia e il Natale

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

L’aula magna del Ciamician, Università di Bologna, è particolarmente gremita di studenti e non solo. Stiamo parlando di uno tra i maggiori templi della chimica e a tenere la lezione è un docente carismatico ed estremamente comunicativo. L’argomento è l’entropia, tema complesso, che mantiene un non so che di misterioso e  metafisico. Difatti il professore, dopo aver parlato magistralmente dei principi della termodinamica e della meccanica quantistica, la butta là, in filosofia. E noi siamo lì, nell’incanto del momento, felici di dover solo piacevolmente ascoltare.
E va da sé che alla fine ciò che resta è il tipico esempio: l’entropia dell’universo esprime il suo disordine, ovvero si libera energia quando l’equilibrio passa dall’ordine al caos e il valore entropico tende, inevitabilmente, a crescere. Riducendo tutto in un gioco, senza voler essere accademici e neanche troppo seri, è come dire che se ho dei libri sulla scrivania, messi in ordine per autore, periodo storico, argomento, e poi li rimescolo senza guardare, è assai improbabile che la nuova disposizione corrisponderà a criteri logici. Oppure, altro esempio, se butto dei dadi, “potrebbero” cadere allineati in bell’ordine, ma non accadrà: saranno sparsi sul pavimento, a caso, distanziati tra loro e con i numeri come capita. Il disordine è la misura più probabile in un evento se non coordinato. E nei comportamenti umani?
Se osserviamo le forme artistiche ci rendiamo conto che senza una ferrea disciplina non si va da nessuna parte. Oltre alla vocazione occorrono dedizione, studio, applicazione. Un talento, pur naturale, produrrà opere d’arte solo se trasformiamo la nostra vita in un laboratorio dove le idee, affidate ad una tecnica sempre più raffinata dall’esperienza e sensibilizzata da tutte le variabili ad essa riconducibili, troveranno un’applicazione che altri sapranno apprezzare come arte: sia essa musica, pittura, fotografia, letteratura, cinematografia. In altri termini, l’equilibrio delle forme richiede impegno, dedizione, fatica intellettuale. É così anche nel privato, nelle proprie abitudini, negli hobby, qualunque essi siano. Chi frequenta il tiro a segno sa bene che per fare centro sono necessari, oltre alla frequentazione, il coordinamento dell’attenzione, della concentrazione e il distacco dai pensieri. In termini più orientalizzanti, occorre la presenza piena di sé nel qui ed ora. Tutta la propria essenza viene riversata nell’attimo. Il gesto, sia esso del maestro di pittura, o dell’arciere, ma anche del fabbro, dell’idraulico, del contadino, o dell’amante, esprime ciò che si è nel momento che si manifesta. L’essenza si materializza. Anche la nostra comunicazione risponde a queste logiche: nei casi in cui il verbale tende a una falsità ecco che il non verbale rivela la contraddizione. Sembrerà strano, ma scrivo queste cose nel periodo natalizio. Il verbale parla di auguri, serenità e gioia, il non verbale, con tutto il suo armamentario frettoloso fatto di accaparramento di regali alla spicciolata, di addobbi che rattristano l’animo, di larghi sorrisi studiati a misura di selfie, ci racconta un’altra storia. Il significato delle cose si spegne nell’aridità. Lontani i tempi del camino acceso con il piacere di starvi davanti, anche senza dire granché, senza preoccuparsi di mischiarsi nel traffico per reperire regali superflui. Il senso del Natale è molto semplice e proviene da lontano, ben prima del cristianesimo: festeggiamo ciò che nasce. Nasce la vita non solo nel parto. Nasce quando ci ricordiamo chi siamo, cosa davvero facciamo. Nasce quando lavoriamo per ritrovare affetto, stima, amicizia. Quando coltiviamo idee e propositi concreti. Quando abbracciamo per abbracciare sul serio. Questo è il Natale, con qualche addobbo in meno e qualche stretta di mano più sincera.
Il professore, a termine della sua lezione, saluta dicendo: «Ora vedremo, da come lascerete quest’aula, in che modo il concetto dell’entropia sia entrato nelle vostre consapevolezze».