Pinocchio e l’arte della disobbedienza

Un'immagine di Pinocchio tratta dal film di Matteo Garrone

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

In tempi di fake news, dirompenti e ben confezionate, divulgate con scientifica capacità mediatica, fa più che mai tenerezza rileggere e reinterpretare il personaggio che della bugia aveva fatto un talento naturale: Pinocchio. Per scoprire che le cose non sono quelle che sembrano e che il suo autore, Carlo Lorenzini, in arte Collodi, meno conosciuto del suo celebre personaggio, andrebbe eletto genio satirico. Pinocchio compare per la prima volta nel 1881, nella serie di pubblicazioni “Storia di un burattino”, all’interno del “Giornale dei bambini”. Il suo ideatore, Collodi, ha già 55 anni e una carriera vissuta da “toscanaccio” impertinente, con un certo disincanto e non attaccamento alla scrivania. Il libro che deriva da quelle pubblicazioni, “Le avventure di Pinocchio”, ha avuto un successo straordinario, tradotto in oltre 240 lingue.

Ma chi è Collodi? Domanda necessaria se vogliamo comprendere Pinocchio perché il burattino ci racconta qualcosa che va oltre le apparenze. Collodi, in realtà, è il nome di un bel borgo antico vicino Pescia, in Toscana. Carlo Lorenzini vi trascorre l’infanzia in compagnia del nonno materno, fino alla frequentazione della scuola. Poi torna a Firenze per gli studi umanistici, iniziando presto a collaborare con giornali di stampo satirico, scoprendo così la sua vera passione: scrivere con ironia, sviluppando il senso del paradosso, oltre la normale immaginazione. Deve però saper aggirare la censura, ancora opprimente, seppure ammorbidita. Il periodo storico è quello controllato dall’Impero austriaco.

Quando Ferdinando Martini, il suo editore, gli chiede di scrivere delle storielle per i bambini, Collodi inventa un personaggio che gli è congeniale. Inizialmente Pinocchio è il protagonista di singoli episodi. Apparentemente, ad una lettura che staziona in superficie, risulta una morale che sembra consona al regime. Ma non è così. Intanto va detto che per lo scrittore è una situazione pressoché ideale. Ha modo di affinare ed esercitare una scrittura più moderna, con un’inventiva che non ha confini, con immagini vivaci tra i tetri personaggi delle storie dove i “cattivi” – spesso da vedere come i rappresentanti del Potere – sono cattivi per davvero, totalmente privi di umanità e buon senso, e dove gli umili, come Geppetto, persone semplici che cercano il proprio angolo di libertà e felicità, hanno la vita sempre durissima.

Ecco, allora, un Pinocchio ostinatamente disobbediente, come fosse, la disobbedienza, il suo metodo: così facendo va alla scoperta del mondo, con i suoi paradossi e i suoi personaggi subdoli e simulatori. È la rappresentazione di una società che a Lorenzini non piace e ancora meno gli piace il potere costituito. Nelle sue storie, le figure che rappresentano le istituzioni sono quelle meno affidabili, tant’è che Pinocchio, quando cerca il loro sostegno e comprensione, si ritrova ad esserne vittima: viene imprigionato a tutto vantaggio di chi è realmente colpevole. Scopriamo, quindi, con una lettura più attenta e adulta, che Collodi non è affatto allineato, e trova il suo modo di fare satira politica e sociale.

Pinocchio non è mai banale. Non sono rari i casi in cui dimostra sensibilità, coraggio e una sorta di onestà intellettuale. Anzi non solo non c’è mai cattiveria in lui, ma tende a dare fiducia al limite dell’ingenuità. In un certo senso è un puro. La stessa disobbedienza non è frutto di monelleria fine a se stessa, piuttosto è il richiamo di quella conoscenza che gli è preclusa, una forma di forte curiosità verso le cose. Si potrebbe obiettare che il suo atteggiamento ha risvolti negativi, come il rifiuto dell’impegno, deludendo e addolorando le persone a lui care, come il padre falegname Geppetto e la Fatina. A mio avviso, è proprio in questa contraddizione del burattino che Carlo Lorenzini dà il meglio di sé, giocando sulle morali: quella corrente, voluta da un sistema che controlla, e quella sua, incline all’indipendenza e alla libertà di pensiero.

Quando Pinocchio, dopo le infinite disavventure, ritrova Geppetto e la Fatina e si rende conto che hanno concretamente bisogno di lui, non ha più dubbi. Quello che prima veniva rifiutato ora lo cerca. Il lavoro, la fatica, il sacrificio, in nome di un bene superiore, finalizzati ad uno scopo scelto e non imposto, diventano le vie percorribili e percorse, con una determinazione che denota un forte carattere.  E qui ci vediamo il messaggio definitivo. Lo “scopo”, quindi, potremmo tradurlo come consapevolezza, maturazione della coscienza. Non si diventa migliori perché ci viene chiesto da uno schema precostituito, ma lo si diventa quando abbiamo delle responsabilità e una “visione”. Egli non si è sottomesso, ma si affida totalmente ad una missione. In questo, il libro su Pinocchio è anche un’opera per adulti.

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