L’umana commedia della vita da Shakespeare ad oggi

(immagine creata con l'IA da Rosita Spinozzi per Il Graffio.online)

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Ci sono frasi che ascoltandole riecheggiano nella memoria, riconoscibili e riconducibili all’autore, come la celeberrima “Essere, o non essere, questo è il dilemma”, recitata nell’atto terzo dell’Amleto di William Shakespeare. Non potrebbe essere diversamente. Il grande drammaturgo inglese, vissuto tra il Cinquecento e il Seicento, aveva uno stile inconfondibile nella forma come nella sostanza. Il suo scrutare l’animo umano e rappresentarlo sul palco tra miseria e grandezza resta ancora oggi inimitabile e forse irraggiungibile. Un esempio su tutti: “Spengiti, spengiti breve candela! La vita non è che un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla”(Macbeth, atto V). Una frase-verità, di quelle scomode, potremmo dire, e quanto mai alta. Poche righe che da sole, isolate dal contesto, come in questo caso, riepilogano il senso smarrito dell’esistenza e la sua inconsistenza. Non c’è bisogno di argomentare e spiegare per rendersene conto.

Poi ce ne sono altre che potrebbero essere meno riconoscibili, non conoscendo l’intera e monumentale opera shakespeariana. La frase “Tutti gli uomini sanno dare consiglio e conforto al dolore che non provano” sembra appartenere alla saggezza popolare di tutti i tempi e di ogni cultura e mi fa intuitivamente pensare ad un Seneca o ancor di più ad Epitteto, per alcune assonanze. Invece, anch’essa è di William Shakespeare, estrapolata dalla commedia teatrale Molto rumore per nulla, ambientata a Messina. È su questa frase che vorrei soffermarmi, separata dal suo specifico contesto teatrale. Prima, però, non si può non notare, a margine dell’argomento che vorrei trattare, come – pur a distanza di quasi mezzo millennio – il titolo di quell’opera breve e brillante sia diventato un modo di dire tuttora universalmente utilizzato: molto rumore per nulla. Anch’essa, da sola, è un frase che la sa lunga sulle intemperanze umane, sullo spasmodico bisogno di protagonismo e di farsi notare, con scarso ascolto.

Torniamo al nostro tema, ovvero, come suggerisce la frase citata, l’essere saggi sulle problematiche altrui, assai meno sulle proprie. In effetti, in tempo di social, lo constatiamo quotidianamente. La piazza virtuale è l’equivalente dei discorsi da bar: siamo tutti bravi a fare considerazioni e a dare consigli, con idee chiarissime, quando la cosa è separata da noi. Peccato si vada facilmente in crisi quando ci riguarda personalmente. Talvolta, o spesso, accade anche nel privato dei professionisti, che pur hanno strumenti adeguati, come psicologi o i consulenti motivazionali. Stessa apparente contraddizione riguarda il mondo dei religiosi. La ragione è molto semplice: al di là del livello di maturità e consapevolezza, di conoscenza e introspezione, gli aspetti emotivi e sentimentali non ci consentono di essere distaccati al punto giusto. A ben pensare, questo lato dell’argomento ci conforta: nel nostro profondo le fragilità si somigliano e il senso dell’umano, così frastornato e bastonato in superficie, preso a randellate da un ego camuffato da buone intenzioni, e da ambizioni per le quali vestiamo l’abito che non ci appartiene, nei sotterranei dell’inconscio si ritrova nella solitudine e nell’inadeguatezza che appartengono alla nostra natura, vuoi per la fase infantile – vero serbatoio di dolore irrisolto – vuoi per i ruoli che le necessità sociali impongono. Inoltre, potendo scegliere, chi vivrebbe in quei formicai umani che sono i condomini urbani, per uscire ogni mattina a fare un lavoro che non piace e non gratifica, ritrovandosi accodati in lente file di automobili?

Potendo scegliere, credo nessuno. Nella realtà, la maggior parte delle persone vive – viviamo – in quelle condizioni. Questo porta, inevitabilmente, ad un altro aspetto da considerare, ovvero a forme compensative, tra le quali il non vedere – o vedere in modo compiacente – il proprio vissuto e le proprie frustrazioni, spostando lo sguardo sulle vite altrui, diventando “saggi”, bypassando le scelte non fatte e il coraggio lasciato sopire: i famosi sogni nel cassetto di un comò sepolto in cantina e che probabilmente non verrà mai aperto. E questo pesa più di quanto si possa ritenere. Si finisce con l’isolarsi nei propri schemi mentali, perché sembrano facilitare la vita – una sorta di decoder del quotidiano – in realtà la intrappolano condizionando gli atteggiamenti mentali e mantenendoci all’interno di paradigmi difficili da scalfire e che diventano comode armature. Concludo un un’ultima frase di Shakespeare: “Un vero amore non sa parlare”. A qualcuno potrebbe sembrare fuori tema. A mio avviso, racchiude una verità sostanziale che fa da sintesi all’argomento e che ognuno saprà interpretare con la propria sensibilità.

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