Le nonne e i rituali, facciamone tesoro

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

C’era un tempo che era probabile, per non dire ovvio, sentir raccontare episodi che oggi definiremmo paranormali. C’era un tempo che l’Italia era prettamente contadina e nelle case rurali non c’erano i moderni riscaldamenti, non c’era la luce, tantomeno l’acqua potabile. Non c’era neanche l’idea che da qualche parte qualcuno aveva quei marchingegni chiamati televisori. Il telefono poi, ma che sarà? E le automobili erano roba da ricchi, giù in città. A molti può sembrare irreale questa descrizione, ma ne sono testimone. La prima infanzia l’ho vissuta così, in quel tipo di contesto, nella seconda metà degli anni ’50, quando le mamme erano abilissime a portare l’acqua di fonte nella “conca”, tenuta in perfetto equilibrio sulla testa, conversando amabilmente tra loro. E bere quell’acqua, freschissima e buonissima, sembrava un gesto propiziatorio.

In quell’Italia lì, in quelle case, dove al massimo di moderno c’era la radio di grande dimensione, uno dei momenti migliori era lo stare accoccolati la sera vicino al camino e non solo per il piacere umano e il calore delle fiamme. Per un bambino, era il momento atteso per sentire storie. Quelle strane! Storie di indefinibili figure, giù, tra i filari del vigneto, o nel sottobosco vicino al laghetto. Nessuno si sarebbe avventurato di notte, da solo. Storie di piccola stregoneria, di fattucchiere e misteriose magie. Non erano solo racconti ad un bambino curioso: ci si credeva. Era l’Italia dove i nonni non avevano frequentato le scuole e non c’erano confronti nella cultura e nell’informazione. Ed erano tempi che, se avevi un mal di testa, o se stavi “strano”, se si pensava che eri vittima dell’invidia altrui, la nonna, o chi conosceva il rito, ti passava la “mmidia”. Non so se si scrive così, ma nei ricordi lontani l’ho memorizzato con quel nome dialettale.

Il rituale prevedeva il preparare un piatto di porcellana con dell’acqua e un cucchiaio con l’olio di oliva, quello del frantoio. La nonna pronunciava tra sé e sé frasi misteriose mai rivelate (era un segreto tramandabile ma non rivelabile). Poi, passava il cucchiaio sulla testa, lentamente, con gesti metodici, pronunciando ancora parole e preghiere. Dal cucchiaio, venivano fatte cadere poche gocce nell’acqua e si esaminava attentamente il modo in cui si disperdevano. Se l’olio non si miscelava, restando a galla, era buon segno. Ma se si espandeva, diluendosi, c’era da impensierirsi. Significava che la persona era sotto l’attenzione dell’invidia di qualcuno procurando malessere. In questo caso, il rituale andava avanti fintanto che l’olio non assumeva il giusto comportamento. Spesso, il procedimento andava a buon fine. Ci si alzava dalla seggiola sentendosi meglio, fiduciosi e tranquillizzati.

È un’Italia lontana, ma chi l’ha vissuta la vede come preziosa, potendo archiviare nelle esperienze frammenti di un mondo dimenticato. Nell’oggi, dopo aver visto il boom economico degli anni ’60 e la successiva rincorsa tecnologica, dopo i percorsi studenteschi ed universitari e una cultura personale, fatta di continua ricerca con la lente del raziocinio aperto al possibile, sorrido piacevolmente a quei ricordi. C’è una semplicità necessaria ed inevitabile e la bellezza della suggestione resa esperienza. Mi riferisco a ciò che la scienza chiama “effetto placebo”, dimostrando, e ci sono molti studi, che spesso si guarisce grazie ad esso, grazie alle aspettative positive. E l’effetto placebo, pertanto, altro non è che “credere” che quel trattamento farà effetto. È il lasciarsi andare con fiducia, è l’affidarsi. Era così, quando il bambino attendeva il cucchiaio sapientemente mosso dalla nonna. La suggestione, nell’accezione che sto descrivendo, è la misura di una risorsa mentale che andrebbe conosciuta meglio e resa consapevole.

Negli anni, nella ricerca di tecniche e culture “altre”, tra le tante, ho esperimentato metodi e vissuto esperienze formative non ortodosse. Dalla capanna sudatoria (tradizione degli indiani d’America per la purificazione dove non di rado si raggiungono alti livelli percettivi), all’applicazione del metodo Reiki per favorire la guarigione in chi vi si sottopone. Quello che ho appreso davvero è che tutto insegna se “si vuole” imparare con apertura mentale e rielaborazione e tutto è fuorviante se si mantengono steccati e confini ideologici.
Il bambino è ancora lì, incuriosito dalla nonna e le sue “credenze”, i suoi racconti favolistici. Ma la nonna era anche quella che si alzava molto presto che era ancora buio, andava alla fonte, faceva il pane nel forno a legna, andava nei campi, preparava il pranzo per le famiglie allargate, faceva il bucato con l’acqua di raccolta … Beh, non so quanti oggi potrebbero stancarsi tanto ed avere, a sera, il sorriso per raccontare storie ad un bambino. E praticare rituali che “funzionavano”. Non si può rimpiangere la povertà e l’ignoranza di quel tempo, ma sono fiero dei ricordi e del vissuto. Tutto è prezioso, se ne facciamo tesoro.

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