Teatro e cellulari non vanno d’accordo. Torniamo a guardare fuori dal finestrino

di ROSITA SPINOZZI –

Spesso ad andare in scena a teatro è la maleducazione degli spettatori, piuttosto che l’arte di chi su quel palco sta recitando, quindi facendo dono di sé. Succede sempre più spesso, infatti, che un pubblico distratto sieda tra le prime file con tanto di inseparabili cellulari in mano senza neanche prendersi la responsabilità di tenerli spenti o, quanto meno, di “azzerare” la micidiale suoneria che si palesa sempre nei momenti meno opportuni. Andare a teatro significa godere di uno spettacolo dal vivo in cui non è consentito all’attore di sbagliare, pertanto è doveroso assistere in religioso silenzio, necessario per non compromettere il clima di concentrazione in cui, giustamente, l’attore è immerso. In altre parole, chi varca la soglia di un teatro ha il dovere, morale e civico, di portare rispetto agli attori. Pertanto, visto che viviamo in un’era dominata dai social, sono giunta alla conclusione che per andare a teatro non bisogna soffrire di nomofobia, ovvero di quel timore ossessivo di restare senza cellulare oppure di non essere raggiungibili, a cui si aggiungono la necessità impellente di inviare sms o chattare tramite whatsapp, stati d’ansia direttamente proporzionali alla carica della batteria, attacco di panico in caso il cellulare dovesse spegnersi improvvisamente. A teatro il cellulare va spento, punto. In caso contrario, si rischia veramente di compromettere l’esito di una buona serata. Cosa che non è accaduta al Teatro delle Energie di Grottammare, grazie all’intelligenza e alla prontezza di spirito di Enzo Iacchetti che, sabato 28 aprile, ha portato in scena lo spettacolo “Libera nos domine”. Gratuitamente. Il monito di tenere spenti i cellulari c’era fin dall’inizio, ma come al solito non è stato rispettato. Tanto più che quella sera in un altro palco, o meglio campo, c’era il derby Inter-Juventus in diretta dallo stadio Meazza di Milano. Figuriamoci! In nome del libero arbitrio, ognuno può scegliere come passare la serata: a teatro ad applaudire il bravo Iacchetti, oppure in casa o al bar a vedere la partita. Sono due cose distinte. Non si può andare a teatro con la pretesa di fare entrambi le cose grazie al supporto di un cellulare che, di regola, andrebbe spento. L’azione è stata talmente plateale da parte di uno spettatore che Iacchetti, comprensibilmente disturbato, ci ha scherzato sopra annunciandogli dal palco l’esito del derby. L’Inter sta perdendo. E non solo l’Inter, ma anche la dignità umana. Verrebbe da dire: caro signore in questione, sei venuto a vedere lo spettacolo e pure gratis. Ti trovi davanti Enzo Iacchetti, che tra l’altro è un concentrato di bravura e simpatia, e anziché goderti la serata stai a “smanettare” con il cellulare. Tanto vale che restavi a casa. Peggio ancora è accaduto nel mese di marzo al Teatro Metropolitan di Catania, dove Raoul Bova e Chiara Francini erano alle prese con lo spettacolo “Due” del regista Luca Miniero. In questo caso lo squillare dei telefonini e il trillo delle notifiche di whatsapp è stato talmente eccessivo da indurre gli stessi attori a qualche incertezza. Pausa, si chiude il sipario, entra in scena la produzione, viene ripetuto al pubblico per l’ennesima volta di spegnere i cellulari. Chi non ne è capace che resti a casa. Parole al vento. Lo “scempio” continua, ma i bravi attori stoicamente vanno fino in fondo. Gli applausi finali, però, Bova li lascia alla Francini, perché lui non ha voluto salutare un pubblico così maleducato. Episodi che inducono a un’amara riflessione: stiamo diventando zombie, amebe alla mercè di un piccolo schermo che propone una realtà illusoria e distorta. La realtà, quella vera, molti di noi non sono neanche più in grado di riconoscerla. Tant’è che in viaggio nessuno guarda più fuori dal finestrino.

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