“Io capitano” e “Il caftano blu”, due film a confronto

di LUCILIO SANTONI –

Il film di Matteo Garrone si configura come un road movie. Un genere classico si direbbe. Un capolavoro di tanti anni fa, ad esempio, è “Il grido” di Michelangelo Antonioni. L’ultimo che mi viene in mente, in ordine di tempo, è “Nomadland” di Chloé Zhao, vincitore dell’Oscar 2021. A differenza di quest’ultimo, Garrone aggiunge la componente thriller. Per il resto, questi due film pescano a piene mani nell’agenda morale. L’Oscar ha come protagonista una donna disoccupata, il Leone d’Argento giovani migranti. E oggi, per vincere un premio, per accedere al mercato dei grandi numeri (cosa che Garrone ha sempre dichiarato di voler fare), è necessario costruire un prodotto che sia pienamente inserito nell’agenda morale. Agenda morale costituita dai cosiddetti diritti civili, rivendicazioni politicamente corrette, ambientalismo ecc.; essa vale che si tratti di un film, di un detersivo o di un’automobile.

E il film di Garrone è particolarmente furbo in questo: non fa la morale, ma si inserisce perfettamente nell’agenda, riuscendo così a conquistare anche coloro che non vogliono la morale diretta, ma che sono pienamente inseriti nell’agenda. Per il resto, è un film ben fatto, tranne alcune scene smaccatamente volte a épater le bourgeois, come quella della donna incinta che rischia di morire. Il lieto fine è un’ovvia conseguenza di quanto finora detto, in pieno stile americano. In definitiva, i commenti che troviamo intorno al film sono gli stessi che sentiamo fare intorno a servizi analoghi del telegiornale.

Il film di Maryam Touzani sfiora temi che potrebbero entrare nella suddetta agenda morale. Ma, a differenza del regista italiano, la marocchina lo fa con poesia. E questo la mette a riparo dal produrre un film classificabile. Ci parla di amore e morte, certo, gli eterni temi del cinema, dell’arte e della letteratura. Ma lo fa con la delicatezza di un tessuto intrecciato con fili dorati, da polpastrelli sensibili, con le grinze della pelle dei corpi che formano quadri fiamminghi.Ci chiediamo: sarà la luce a tenere insieme cose all’apparenza contrapposte come l’armonia e il dolore, la malattia e la vita? Gli attori, inoltre, sono meravigliosi: attraverso le strade della Medina, con gli intonaci e i colori, il buio e la lentezza, incarnano sentimenti che si fanno visione.

Il telegiornale non parla, non ha mai parlato, né mai parlerà di queste cose, perché non ha le parole adatte, perché queste cose sono domande che appartengono a quel momento umano e celeste allo stesso tempo, fatto di fuggevolezza e di eterno, che si chiama Poesia.

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