di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –
La Repubblica Democratica del Congo è uno dei luoghi più contraddittori del pianeta, dove la ricchezza di materie prime sul suolo e nel sottosuolo è la causa prima delle sofferenze della popolazione. Un Paese in cui, secondo i dati dell’Onu, tre persone su quattro vivono, o meglio, sopravvivono con meno di un dollaro al giorno. Un territorio colpito da una terribile epidemia di Ebola, devastato da continue lotte di potere, attacchi e guerriglie per l’accaparramento e il controllo dei giacimenti di diamanti, oro, cobalto, rame, ma anche di legnami pregiati e di una vastità di terre coltivabili. Senza contare la costante repressione dell’esercito governativo.
In Congo vivono circa milleduecento italiani, distribuiti per lo più in quattro zone: Kinshasa (nel centro), Lubumbashi (a sud), nord Kivu e sud Kivu. Sono venuti qui alla ricerca di un futuro dopo la seconda guerra mondiale, la terra è fertilissima ed era vista come una sorta di Eden. Sembra assurdo, ma nel dopoguerra eravamo noi i migranti economici che partivano per il Congo, per sfruttarne le ricchezze naturali, per costruirsi una vita migliore.
Era in un contesto così complesso che operava Luca Attanasio, il giovane ambasciatore italiano rimasto ucciso durante un attacco armato. Volevano rapirlo. Negli ultimi vent’anni sono più di duecento i Rangers locali uccisi in agguati del genere che mirano per lo più al rapimento di esponenti politici e membri di Ong, come Medici senza frontiere e tante altre. Luca Attanasio viaggiava con il convoglio della Monusco, la missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo. Oltre che un diplomatico, era impegnato sul fronte umanitario e sociale insieme alla moglie Zakia Seddiki, fondatrice e presidente dell’associazione “Mama Sofia” che ogni anno salva la vita a centinaia di donne e bambini.
Quando a ottobre 2020 era stato insignito del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace 2020 “per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà”, aveva dichiarato: «In Congo, parole come pace, salute, istruzione, sono un privilegio per pochissimi. Quella dell’ambasciatore è una missione a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l’esempio.» E lui certamente lo è stato. Un italiano di cui andare fieri.
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