Trent’anni senza Paz. La sua opera varca ogni confine

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Quando Renato De Maria ha realizzato il film Paz!, uscito nel 2002, Andrea Pazienza non era più in vita dal 1988. Sono trent’anni ad oggi, trent’anni senza un genio assoluto della fumettistica e non solo. Pazienza è stato poliedrico ed eccezionalmente prolifico se si considera che è morto a soli trentadue anni. Ripercorrerne le tappe è emozionante, a tratti commovente. Persona eclettica, sopra le righe, mai banale. Il film Paz! mette in movimento i personaggi creati da Andrea, come Zanardi, Pentothal, Fiabeschi, facendoli muovere nello scenario di una Bologna stravolta dai fatti del 1977. Iniziamo da qui, da quei fatti, per ricostruire un clima che lo coinvolge e gli offre spunti, per poi considerare tutto il suo percorso. É l’undici marzo, di quell’anno funesto. Un gruppo di Lotta Continua, dopo una contestazione all’assemblea di Comunione e Liberazione, si scontra con le Forze dell’Ordine. Lo studente di medicina Francesco Lorusso rimane vittima. Ha solo venticinque anni. Gli verrà dedicata  una lapide in via Mascarella, dove era caduto sotto i proiettili. Su quelle mura centenarie, sotto i bei portici, ci sono ancora oggi i segni delle pallottole andate a vuoto. Dopo di quel giorno ci sarà un lungo periodo di disordini, assemblee, contestazioni che metteranno a dura prova Bologna, città che era sempre stata un unicum con gli studenti. A seguito dei gravi fatti, le Forze dell’Ordine presidiano la città universitaria con posti di blocco e con gli autoblindo dell’Esercito. Gli studenti che vi transitano devono mostrare i documenti. La maggior parte di loro osserva con lo stupore di chi è abituato a calme situazioni di provincia, ma lui, Andrea, vive il periodo con la fervida energia di chi sceglie un certo tipo di impegno sociale e politico, a modo suo, attraverso le storie e i personaggi dei fumetti.

Iniziamo dal principio.
Andrea Pazienza, figlio di due insegnanti, nasce a San Benedetto del Tronto. É il maggio del 1956.Il padre Enrico insegna educazione artistica ed è un abile acquarellista. Realizza mostre di successo. É lecito supporre che il ragazzo apprende dal genitore la prima simpatia per matite, colori e fantasie raffinate. A dodici anni si trasferisce a Pescara, da alcuni parenti, e si iscrive al liceo artistico Misticoni dove consegue il diploma di maturità. Già in quel periodo, pur giovane, realizza fumetti, dipinti e scenografie teatrali. Espone i suoi lavori in diverse mostre e conosce persone che si riveleranno preziose per la sua arte, come Tanino Liberatore, celebre fumettista. Nel  1974 si immatricola ad DAMS di Bologna, famosa anche per la presenza di un docente di prestigio, Umberto Eco. Conosce e stringe amicizie formative, come con lo scrittore Pier Vittorio Tondelli. Realizza molti lavori, tra i quali “Le straordinarie avventure di Pentothal” che ha stretta attinenza con le lotte del ’77. Fa parte della rivista “Cannibale” prima e de “Il Male” dopo. Quest’ultima diventerà il riferimento per la satira politica negli ambienti studenteschi e non solo, sia in città che altrove. Nel 1980 fonda, con altri, il periodico “Frigidaire”. Collabora anche con la rivista di fumetto “Linus” e con altre, sull’onda della sua crescente notorietà che lo porta a collaborare in settori diversi. Negli ambienti discografici, cinematografici e editoriali, sono in tanti a notare quel ragazzo produttivo, geniale nella sua sregolatezza, tecnicamente ineccepibile. E infatti, lavora per le copertine di dischi (per Roberto Vecchioni, ad esempio), spot grafici pubblicitari, manifesti cinematografici (tra i più importanti: “Città delle donne” di Fellini). Collabora anche per “Mister Fantasy”, trasmissione di Rai 1. Non dimentica una sua vecchia passione e torna a realizzare le scenografie teatrali. Andrea non è mai fermo.
Sperimenta l’insegnamento: nella Libera Università di Alcatraz di Dario Fo, diretta dal figlio Jacopo, e presso la Scuola di Fumetto e Arti Grafiche “Zio Feininger” a Bologna. Avrà allievi che si faranno strada. Quest’esperienza la racconterà in forma di romanzo grafico: “Pompeo”, particolarmente autobiografico. Realizza anche dipinti che espone in gallerie di prestigio: la Comunale d’Arte Moderna di Bologna, la Nuages di Milano, il Palazzo delle Esposizioni di Roma. Tra i suoi amici c’è Roberto Benigni che gli dedicherà il film “Il piccolo diavolo”, pochi mesi dopo la morte.

La vita di Andrea non è stata tranquilla. La sua è una personalità tormentata, come emerge anche dalle sue tavole capaci di condensare un tripudio di visioni che sono spia di un’ansia comunicativa che è un bisogno ma anche segno tangibile di frustrazione, di un’euforia vitalistica che è l’altra faccia della medaglia di un’angoscia senza nome. E la tossicodipendenza gli è stata compagna. Lui stesso ne parlerà, con ironia semi divertita, nel corso di una intervista con Red Ronnie, quattro anni prima della morte. Cercherà di uscire dall’eroina e a tratti sembra riuscirci, ma non proprio.  Muore nel 1988, presumibilmente per overdose ma ufficialmente non confermato, a casa sua a Montepulciano, dove si era trasferito e viveva con la moglie Marina Comandini, fumettista anche lei e sposata solo da un paio d’anni. L’amico Pier Vittorio Tondelli, nel commemorare la morte e citando Pavese, dirà: “ogni vita è ciò che deve essere”. Successivamente scriverà di lui in un weekend postmoderno: “É questo che la morte di Andrea mi mette davanti, spietatamente: il lato negativo di una cultura e di una generazione che non ha mai, realmente, creduto a niente, se non nella propria dannazione”.

Abbiamo tracciato un breve profilo, a ricordo di un personaggio particolare, complesso e difficile, ma artista eccezionale e poliedrico che, non fosse stato per la morte prematura, avrebbe dato ancora molto al mondo dell’arte. Nel suo genere è stato, è tuttora, e resterà per sempre, un grande punto di riferimento per ogni generazione. Ciao Andrea…