Meditando…

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Consideriamo un gruppo di amici, o comunque conoscenti, e diamo loro nome fittizi: Luigi, Giorgio, Oscar, Martina, Lena, Nicoletta, Emma. Esercitano attività e mestieri molto diversi tra loro, dal precario che fa solo brevi sostituzioni all’ingegnere affermato in azienda propria, dall’artista dispersivo e sconosciuto all’artigiano esperto e richiesto. Le loro personalità e i caratteri sono altrettanto dissimili. Oscar, ad esempio, è ponderato, loquace con humor britannico e di eleganti maniere. Martina è eclettica ma inconcludente, disordinata ed estroversa. Da sola tiene su la compagnia del sabato sera. Luigi, beh, non parliamone. Tutti gli vogliono bene ma non sanno perché, invita alla tenerezza con quel suo eterno cercare qualcosa che non c’è e i suoi silenzi da poeta estemporaneo. Emma è deliziosa, ben centrata in sé, determinata, accogliente, e così via. Ho citato solo alcuni di un gruppo più numeroso: quelli che si ritrovano a fare meditazione insieme in un centro olistico.
Parlerò poco della disciplina, sia perché non c’è un solo modo di meditare, sia perché risulterebbe insufficiente lo spazio dell’articolo. Chi la pratica sa che, nonostante i tanti e colti libri, si può capire cos’è solo facendola.
Dalla cultura orientale apprendiamo che la meditazione è quella dove, in comoda posizione yogica, si quieta la mente, arrivando all’assenza del  flusso dei pensieri. Nel tempo, nella pratica, si impara ad essere davvero nel qui ed ora e si è più consapevoli dell’impermanenza. Ci si sente più lucidi e più concentrati, meno inquinati dallo stress, più distaccati dagli eventi. Migliora la capacità di ascolto e la comprensione. Diventa più semplice gestire le emozioni.
Per chi inizia, ma anche per chi pratica da tanto, la modalità più agevole è quella del buon pastore che osserva. Nella posizione preferita, nel silenzio e ad occhi chiusi, in un ambiente accogliente, da dentro se stessi si è osservatori distaccati della mente. Il flusso dei pensieri va indisturbato. Il pastore non interferisce, non giudica, non si aggancia a nulla. Le tensioni si allentano. E man mano, inizia la discesa. La metafora che mi è cara è quella della scala che, gradino dopo gradino, ti fa andare sempre più nel profondo di te. Arrivato, ti accomodi dentro la “ghianda”, nel seme della tua essenza. É il centro, il punto di osservazione perfetto, equidistante da tutto. Sai che ci sono primavere ed inverni, temporali e schiarite, buio e luce, ma lì, nel guscio che ti protegge, sei l’osservatore. Ormai, il brusio di sottofondo dato dai pensieri è più distante, non lo noti neanche, è un rivolo che non fa rumore. Tutto è rarefatto. In un angolo di quel mondo interno, t’accorgi che qualcosa di nuovo sta accadendo senza che tu faccia nulla se non osservare silente. Sottili consapevolezze, sensazioni, intuizioni sono un’impalpabile bruma in attesa di rivelarsi alla coscienza. Ed ancora osservi, non interferisci. Sei lì, con la tua essenza, nel piacere di esserci, senza chiedere nulla.
Lì sei, lì resti, fino a quando non suona il gong. É passato del tempo, circa un’ora, ma non te ne sei accorto. Dalla scala interna riprendi la salita, senza fretta. Dal guscio interiore torni all’esteriore. Ancora silente, ancora ad occhi chiusi. Noti che nessuno si muove, tutti restano ancora un po’ in quell’atmosfera, in quel piacere, nella quiete, nella percezione di un benessere particolare. Apri gli occhi, ti guardi intorno, osservi i compagni di viaggio. Poi ti muovi un po’, una gamba e poi l’altra, massaggi le caviglie, sgranchisci la schiena. Ringrazi, nessuno in particolare. Semplicemente ringrazi. E infine ti alzi, rimetti in ordine il tappetino, scambi qualche battuta, si parla un po’, giusto per prolungare l’attimo, prima di tornare in quello che chiamiamo mondo sociale, con le sue economie, i suoi vincoli e i suoi tentacoli che non riusciranno a distrarti. Da tempo si è rafforzato l’Ulisse che non ascolta più i richiami di sirene capricciose. Piuttosto guardi il sole ormai alto e mentre cammini nel viale t’accorgi che quell’ incertezza che avevi il giorno prima, quei dubbi ch’erano covati su un progetto, hanno trovato ascolto. Dall’indistinta bruma interiore si sono elevate inaspettate e gradite risposte e soluzioni. E senza averle cercate, ti risuonano parole care, come quelle di Tiziano Terzani: “Perché non tornare bambini? Senza limiti, senza paure, con curiosità per tutto; Liberi, senza niente di già conosciuto, di scontato”.