Giordano Bruno, uno spirito moderno e immortale

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Giordano Bruno, troppo eretico nel suo tempo, e tuttora moderno: da comprendere e meditare –

Non era facile vivere nel ‘500, ancor meno per una personalità complessa e intellettualmente vivace e controcorrente come quella di Giordano Bruno, nato nel 1548. Non era facile, nonostante sia stato un secolo di grandi e straordinari cambiamenti, e forse proprio per questo.  Il Medioevo lasciava spazio al Rinascimento con tutti i suoi fermenti culturali, artistici, economici, sociali. La visione stessa del mondo veniva sconvolta e reinterpretata. Indubbiamente un secolo fecondo e fondamentale, con molte aperture, come l’emancipazione del ruolo femminile, ma anche molte chiusure o, per meglio dire, c’erano ostacoli di percorso di un certo rilievo e non scavalcabili. Il sedicesimo secolo è anche il periodo storico della Riforma Protestante, e quindi dello scisma interno al mondo cristiano, che metteva in discussione l’autorità del Papa. Bastava questo a rafforzare un’istituzione potente e minacciosa vecchia di secoli: l’Inquisizione, strumento di controllo e persecuzione a caccia di eresie, vere o presunte. Il più delle volte presunte. Bastava poco, concretamente poco, per essere considerati eretici, arrestati e di fatto perseguitati con torture dalla fantasia barbara e, non di rado, finire al rogo.

Fu la sorte di Giordano Bruno, morto nel 1600. La sua colpa: non rinunciare ad una libertà di pensiero elevato, modernissimo per il suo tempo e che oggi, nel rileggere i suoi scritti, stupisce per la contemporaneità, per la capacità di una visione spirituale e filosofica originale, profonda, innovativa, oltre ogni possibile schema e imbrigliamento. Decisamente troppo per gli inquisitori. Troppo per essere lasciato libero. Soffermiamoci su alcune frasi, quasi prese a caso nella grande produzione letteraria che lo riguarda: «Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo».  «Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto». «Verrà il secolo in cui l’uomo scoprirà forze potenti nella Natura». «Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia».

Pur uomo di fede – gran parte della sua vita è stata vissuta all’interno di monasteri domenicani – Giordano Bruno non si riconosceva nei ristretti meandri dell’ortodossia ecclesiastica, aveva bisogno di spaziare, di collegare, a suo modo, la materia allo spirito, la permanenza sul pianeta all’aldilà, la vita alla morte del corpo. Detestava i dogmi, le imposizioni di pensiero, le argomentazioni artefatte, le consuetudini fine a se stesse. Nel 1576 inizia il suo peregrinare per l’Italia e l’Europa, a seguito di denunce, compresa una per omicidio, ovviamente falsa. Ed è in quell’anno che abbandona l’abito domenicano riappropriandosi del proprio nome di battesimo, Filippo, benché a tutt’oggi continuiamo a conoscerlo come Giordano. Da frate a professore, Giordano Bruno insegna teologia, anche in ambito universitario, scontrandosi con i colleghi, ma con buon seguito di allievi.
La sua vita è articolata, frammentata, alla continua ricerca di un luogo dove possa esercitare la professione in pace e sarebbe arduo ripercorrere con poche frasi i passaggi della sua esistenza. Interessa di più soffermarci sul suo pensiero.

Per Bruno l’universo, visto nel suo insieme, non è semplicemente un “creato” ma “forza creatrice”, dove tutto è interconnesso. Una doppia natura della Natura, quindi, divina e fisica. Mentre la forza creatrice mantiene inalterabile la propria omogenea realtà, le sue elaborazioni create sono soggette a cambiamento e interazioni, mantenendo però intatta l’origine divina, quel collegamento al Tutto. Come a dire che Dio (la Natura stessa) è sia in sé, che all’esterno di sé, è in ogni riflesso dell’esistenza, in ogni essere vivente. Il Dio raffigurato dalla Chiesa, semplicemente non c’è. La forza divina non esiste “nell’alto dei cieli”, piuttosto è la Natura vivente. Dio è nelle cose. L’uomo pertanto può solo interagire, anche con la conoscenza, lo studio, l’etica. Perde di significato una religione di regole ferree e di adorazioni, acquista invece importanza pulire se stessi, sentirci nel flusso delle “idee” più alte, più vicini all’origine di ogni cosa. Più vicini alla Fonte, al “Ciò che è”, all’essenza. Troppo eretico, nel suo tempo, e tuttora moderno, da comprendere e meditare.

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