“Fiori mai nati”, il tema della rinascita nella raccolta poetica di Elisabetta Vatielli

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Mi sono chiesto molte volte da dove nasce l’espressione artistica, quel bisogno di scrivere, che sia prosa o poesia, o di isolarsi in uno studio tra pennelli e tubetti, odori di solventi e tele sparse, opere incompiute ed altre che sono lì, forse finite, forse no. Le riguardi e credi che ancora chiedono una sfumatura di colore, una linea diversa. Così, come per lo scrittore e il poeta, c’è la necessità di osservare il testo, nella ricerca di una parola da aggiungere, la parola che cambia il senso, o lo rafforza. La parola che, in noi, ha un valore immenso perché va a comprendere e a interpretare il significato intrinseco, per renderlo esplicito, condivisibile. Il bisogno della condivisione è forse l’ultimo baluardo, quello di un riconoscimento speciale, quello del proprio mondo interiore: più forte anche della notorietà.

Credo che tutti, chi più chi meno, ci siamo cimentati con la parola scritta, o ad imbrattare una tela, a disegnare un volto con la matita. Chi più chi meno, abbiamo provato ad elevare un sentimento, amore o rancore, tristezza o gioia, smarrimento o entusiasmo. Chi più chi meno, ci siamo sentiti artisti. Ci abbiamo provato, poi la vita chiama ad altri compiti e chi non sente forte il richiamo di una vocazione lascia frantumare sullo scoglio della quotidianità la propria potenziale arte espressiva. Per molti è così, non per tutti. Qualcuno quella vocazione la sente davvero, la nutre, la coccola, la vive come fosse sorella, madre, forse anche divina. Tra queste persone che non dimenticano che siamo sentimento e parola, cuore ed anima, c’è lei, Elisabetta Vatielli, poetessa marchigiana, romana di nascita. Nel leggere la sua raccolta Fiori mai nati lo si percepisce benissimo.

Elisabetta può vantare un bel curriculum tra pubblicazioni in antologie e premi vinti, ma non è questo che ci interessa principalmente perché per un poeta contano poco i suoi successi. Conta la sua Poesia, la natura intima dei versi. Conta la forza che risorge dalle ceneri, la luce che taglia il buio. Quel buio che in noi tutti si cela nei meandri interiori, per ragioni e modi diversi, dove più intenso, dove fievole. Il buio, che non va respinto ma compreso, deve lasciare spazio ad una rinascita. È la Fenice che è in noi, la resilienza che si fa carne, che traccia nuovi percorsi, senza rinnegarsi. Un po’ come fa il grande albero, di cui vediamo l’esteriorità, che ha dovuto lottare con un terreno non sempre fertile, non sempre ospitale. Che ne sappiamo delle sue radici? Non sappiamo nulla della loro caparbietà, la fatica ostinata nel cercare una via di sviluppo, di nutrimento, di speranza. Sappiamo dalla scienza che le radici di piante diverse dialogano tra loro, si rafforzano insieme, si aiutano. Una forma di empatia esistenziale di cui dovremmo far tesoro.

La raccolta Fiori mai nati, di Elisabetta Vatielli, Edizioni Lìbrati, ha in sé il canto di quella Fenice, l’ostinata e silenziosa lotta di quell’albero, l’amore e la consapevole speranza di quelle radici. Leggere le sue poesie ci porta anche dentro noi stessi, nell’individuale cammino, sulle tracce della propria Fenice, che sempre c’è. Sta a noi saperla vedere, accoglierla, darle spazio, darle luce, affinché i fiori mai nati possano sbocciare, come suggerisce la magnifica frase interna al libro, dopo la prefazione: “Un giorno saremo ricordati soltanto per l’amore che abbiamo dato”.

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