A passeggio nei parchi del riuso, partendo da Göteborg per arrivare in Toscana

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Chi va in Svezia, lo fa per infiniti motivi, soprattutto attratto dalla natura incontaminata. Basti dire che ci sono ben trenta Parchi nazionali dove si possono vivere esperienze uniche, dalle semplici passeggiate con ciaspole, alle veloci slitte trainate dagli husky tra gli alberi dei boschi. E poi il trekking, la canoa, lo sci e il campeggio in luoghi incantevoli. Non mancano le escursioni per visitare i castelli e i borghi con le tipiche casette rosse. Su tutti, ovviamente, domina incontrato il programma di assistere all’aurora boreale. È probabile che il visitatore passi anche per Göteborg, seconda città svedese per dimensione, oltre il mezzo milione di abitanti, e principale porto marittimo che viene utilizzato anche per poter accedere alle tante isole. Göteborg sta diventando sempre più popolare, vuoi per la sua logistica portuale, vuoi per le proprie attrattive: una per tutte, l’Äskeskärr, la grande nave vichinga molto ben conservata, l’unica visitabile in tutta la Svezia. La nave è all’interno di un immenso museo dove ci si può immergere nel mondo dei vichinghi per scoprirne la storia e le antiche tradizioni.

Forse nasce da questo, dalla passione storica, dal non abbandono, dal dare valore anche a ciò che è vecchio, un’altra più recente attrattiva di Göteborg che il turista non s’aspetta: il Kretsloppsparken Alelyckan, che apparentemente è una gigantesca isola ecologica di molti ettari – di fatto la più estesa di tutta Europa – dove il cittadino può andare per lasciare del materiale che non utilizza più o che è da conferire, ma anche per cercare ed acquistare merce usata alla quale offrire una seconda vita. Qualche esempio: un tosaerba funzionante può essere acquistato a 40 euro, un frigorifero anche a meno di 100. Detto così sembrerebbe, in grande, un normale magazzino dell’usato come se ne può trovare dappertutto. In realtà è qualcos’altro, di molto diverso, e speciale al punto da diventare un modello per tutto il mondo, almeno in Europa.

Viene chiamata Returhuset, traducibile come casa del riuso, un vero e proprio laboratorio con dipendenti comunali e molti volontari che smistano, analizzano, riparano, rigenerano inventando nuovi utilizzi qualora risultino inutilizzabili così come sono…e vendono a prezzi bassi prodotti che altrimenti verrebbero buttati. Un bel modo per ridurre gli sprechi, risparmiare sulle materie prime e sui costi non bassi del riciclo. La logica è semplice e fa affidamento ad un bel concetto: diamo una seconda vita ad oggetti che sono a fine “carriera”. Il successo del parco del riuso di Göteborg è notevole, la gestione è comunale. Il costo d’impianto è stato ammortizzato in circa quattro anni, garantendo un guadagno di oltre un milione di euro all’anno.

I parchi del riuso si stanno diffondendo in molti paesi, come riporta la Prof.ssa Filomena Compagno nel suo libro “A scuola di Rifiuti Zero”, con un obiettivo ambizioso quanto necessario. Anche l’Italia ha i suoi, distribuiti in più regioni. Tra i primi c’è quello di Capannori, in Toscana, con un nome emblematico e riuscito: “Daccapo”. Un nome suggestivo che ci ricorda che ogni nostro oggetto, che sia vestiario o tecnologia elettronica, utensile o  macchinario, può avere un suo daccapo, una seconda vita, un nuovo utilizzo. Un modo sano ed economico per essere davvero ecosostenibili, rispettosi delle risorse. A mio avviso, quel daccapo ha un valore simbolico che va oltre gli aspetti economici ed ecologici, è una bella metafora. C’è un daccapo per i sentimenti, le amicizie, i sogni personali.

C’è un recupero emozionale che non può e non deve essere trascurato. Abbiamo tutti da rivalutare una storia, il proprio percorso di vita, la propria realizzazione. Allora sì che possiamo parlare fino in fondo di circolarità, del nostro posto nel mondo, perché solo se c’è una matura consapevolezza possiamo essere coerenti, avere un atteggiamento esterno che riflette il proprio microcosmo. Si è solidali se si è sensibili, si è “fratelli” se si ha e si coltiva l’empatia, non si sperpera se si ha una visione non egoistica. In altre parole, occorre cuore, non solo dovere.

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