Addio a Francesco Nuti, un artista di grande talento amante della solitudine

Francesco Nuti (foto dal web)

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Se n’è andato a 68 anni un toscanaccio doc, quel Francesco Nuti che aveva sorpreso tutti con una comicità surreale, a tratti demenziale, ma umana, umanissima, vicina alla realtà, a quell’intima visione dell’esistenza, sempre in bilico tra dramma e follia, sconfitta e gloria, ambizione e abisso. Se n’è andato Francesco dopo quasi vent’anni di sofferenza senza sconti e senza speranza. Eppure, come dimenticare quel sorriso furbetto e triste al contempo, quello sguardo languido e vivo, birichino ma con un ombra nell’angolo, pronta a prendersi tutto, velando di tristezza. Veniva dalla gavetta, quella vera. Prima operaio, nel mondo del tessile, lui che era originario di Prato, poi nel cabaret. Ricordate i Giancattivi, con una formidabile Athina Cenci e Alessandro Benvenuti? Era un trio innovativo, prima nei piccoli teatri poi anche in televisione, con un bel successo di audience, grazie alla gergalità toscana, agli sfottò, gli scherzi, l’irriverenza teatrale. Ma c’era smania espressiva da solista in Nuti e per quanto legato emotivamente ai due compagni di viaggio, iniziava la sua indimenticabile carriera nel cinema, ricoprendo tutti i ruoli, in film diversi, quello dell’attore, dell’autore e del regista. Ma è come attore che ha dato il meglio di sé. Tra i film che hanno segnato la storia cinematografica degli anni Ottanta ricordiamo: “Madonna che silenzio che c’è stasera”, “Io, Chiara e lo scuro”, “Lo spaccone”, “Casablanca, Casablanca”, “Caruso Pascoski di padre polacco”. E tanti altri, inutile elencarli tutti. Ma dobbiamo accennare a “Occhio Pinocchio” perché è stato il film che doveva ritrarre la massima espressione del suo pensiero di comico ribelle, invece ha rappresentato un clamoroso flop drammatico al botteghino. È la fine, l’inizio di un periodo nero, fatto di depressioni, derive e scelte sbagliate, in cerca dell’idea magica e geniale che non arriva. E poi, quel killer che è stata la malattia a seguito di una brutta caduta in casa nel 2006, con consequenziale ematoma che lo ha portato a mesi di coma e alla paralisi. E alla carrozzina in questi due ultimi decenni.
Aveva ricevuto il Premio Internazionale alla carriera il 7 dicembre 2019, ritirato dalla figlia Ginevra. Lo salutiamo, riportando una sua frase che, rivista oggi, appare molto significativa: «La solitudine è un tema portante di tutti i miei film. Amo molto la solitudine e la cerco, per questo poi si riflette nei miei lavori». Ciao Francesco.

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