I fioretti di Santa Rita da Cascia, protettrice dei casi impossibili

di AMERICO MARCONI –

Ci sono momenti in cui si sente l’esigenza di rivedere luoghi visitati anni prima. Così è capitato a mia moglie Diana che, dopo cinquant’anni, è voluta recarsi a Cascia per rivedere la Basilica di Santa Rita dove bambina ricevette la Prima Comunione. Lo abbiamo fatto l’ultimo giorno di agosto. Partendo da Grottammare e, attraversando luoghi amati e feriti dal terremoto, siamo giunti in Umbria. Tra un verde che preannuncia speranza e bellezza, a Cascia ci ha accolto la colossale statua in pietra di Santa Rita che tiene in mano una rosa, di fianco una stele con api, uva, fichi e rose. Dietro, a un chilometro, il paese arroccato.

Al Monastero di Santa Rita una giovane donna con gentilezza ha narrato gli episodi più importanti e belli che evidenziano virtù e azioni (i così detti fioretti) della vita di Margherita Lotti. Nata intorno al 1381 a Roccaporena, 6 km da Cascia, da Antonio Lotti e Amata Ferri. A cinque giorni di vita Margherita dormiva nella culla e delle api le entravano e uscivano dalla bocca. Un amico di famiglia lavorando si era ferito ma andò lo stesso ad allontanarle. Le api si posarono sulla sua mano che smise di sanguinare e guarì. A quindici anni Margherita, detta Rita, sposò Paolo di Ferdinando. Uomo capace e laborioso che acquistò un mulino. Ebbero due figli: Giangiacomo e Paolo Maria. Il marito Paolo era un ghibellino e aveva molti nemici, tanto che nel 1406 in un’imboscata fu ucciso nel suo mulino da un manipolo di guelfi. Rita perdonò gli assassini però i due ragazzi volevano vendicarlo. Ma presto perirono anche loro per cause naturali lasciando Rita sola. Allora decise di diventare monaca nel convento agostiniano di Santa Maria Maddalena a Cascia.

Le sue richieste di essere accolta caddero nel rifiuto. Fino a che un giorno del 1407, alle prime luci dell’alba, davanti al massiccio portone del monastero apparvero tre uomini. Erano San Giovanni Battista, Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino che le dissero di entrare. Quando le suore andarono nell’Oratorio la trovarono in ginocchio a pregare e le chiesero come fosse entrata. Lei raccontò tra le lacrime dei tre Santi. Certa che non le avrebbero creduto. Invece le monache, controllate tutte le entrate che erano ben chiuse, la accolsero tra loro. Nel periodo di noviziato la madre badessa per insegnarle l’umiltà le comandò d’innaffiare un ramo secco. Quel ramo dopo mesi vegetò e divenne una vite. La vite dopo sei secoli ancora vive nel cortile col suo pergolato. Rita divenne monaca esemplare tra preghiere e digiuni. Nel 1425 udì un’infervorata predica di San Giacomo della Marca e capì che le sue sofferenze erano nulla rispetto alla passione del Cristo. Sette anni dopo, rapita in estasi davanti al Crocefisso, ricevette in fronte una spina che si era staccata dalla corona intorno al capo di Gesù. La dolorosa ferita non rimarginò mai.

Correva l’inverno del 1456. Rita, anziana e malata, non usciva più dal monastero dedicandosi alla preghiera. E a volte pensava ai suoi cari scomparsi. Fu allora che chiese a una parente di cogliere nel suo vecchio giardino a Roccaporena una rosa e dei fichi. La parente pensò a un delirio. Ma di ritorno guardò lo stesso. C’erano una rosa fiorita e due fichi maturi. Li colse e li portò a Rita. Era la risposta che lei attendeva: suo marito e i suoi figli erano in Paradiso. Il 22 maggio 1457 Rita morì. E le campane del monastero, mosse da mani invisibili, presero a suonare. Fu dichiarata Beata nel 1628 e Santa nel 1900. Dal popolo è considerata la Santa degli Impossibili e l’Avvocata dei casi disperati.

C’è un ultimo particolare che non posso tralasciare. Mentre la giovane guida raccontava gli avvenimenti mostrando l’antica vite, il roseto fiorito, i fori sul muro dove vivono api murarie, la cassa dipinta su cui è raffigurata Rita e che accolse il suo corpo, nell’aria si percepiva un leggero dolce profumo. Non solo di rose. Per prima lo sentì mia moglie, poi io e altri vicini a noi. Terminato il giro di visita mi avvicinai alla guida e le chiesi da dove provenisse quella fragranza. Lei con un sorriso mi rispose: «Lo chiamiamo il profumo di Santa Rita. E c’è sempre stato».

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Basilica Santuario di Santa Rita da Cascia