Ipazia di Alessandria: filosofa, astronoma, donna libera

Ipazia (Rachel Weisz nel film "Agorà" di Alejandro Amenàbar)

di AMERICO MARCONI –

Ipazia nacque nel 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto. Spinta dal padre, che aveva riconosciuto nella figlia un particolare talento, divenne un’apprezzata filosofa neoplatonica; oltre che matematica e astronoma. Non ci sono parole migliori per descriverla di quelle usate dal suo contemporaneo Socrate Scolastico: «C’era una donna in Alessandria il cui nome era Ipazia. Costei, figlia del filosofo Teone, era giunta a un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Subentrò nella scuola platonica, ripristinata da Plotino, insegnando a chi lo volesse le discipline filosofiche».

Ipazia divenne famosa ad Alessandria d’Egitto. Città ricca di culture e lingue, aperta come la sua stessa posizione sul Mediterraneo, fornita della più grande biblioteca del mondo antico. Donna eloquente e dialettica nel parlare, equilibrata e piena di senso civico nell’agire. I capi politici erano i primi ad andare a casa sua; compreso Oreste, il prefetto imperiale. Perché, anche se il paganesimo era finito, il nome e la pratica della filosofia era amata e rispettata. Nel 412 il vescovo Cirillo succedette, a Teofilo. Cirillo e il suo episcopato erano in totale contrasto con l’idea di tolleranza che doveva intercorrere tra cristiani e pagani. Un giorno il vescovo, passando davanti all’abitazione d’Ipazia, vide una grande ressa di uomini e cavalli. Domandò che facesse tutta quella gente, gli fu risposto che era il giorno in cui Ipazia riceveva i suoi ospiti. «Cirillo si sentì mordere l’anima – così riferisce Damascio – dall’invidia e dalla gelosia. E fu per questo motivo che organizzò ben presto l’assassinio di lei, il più empio di tutti gli assassini».

Nel mese di marzo, durante la Quaresima, del 415 d. C., Ipazia stava rientrando a casa dopo un incontro pubblico. All’improvviso la carrozza fu circondata da un gruppo di uomini capeggiati da un chierico, di nome Pietro detto il Lettore (perché proclamava la parola di Dio durante le celebrazioni religiose cristiane). Ipazia fu trascinata fuori e portata a forza fino alla chiesa del Cesareo. Dove la spogliarono, togliendole per primo il tribon – il mantello simbolo dei filosofi. Dopo umiliazioni e oltraggi, gli aguzzini si armarono di cocci taglienti, ottenuti da tegole e vasi rotti, con cui la torturarono. Straziandone le carni fino alla morte. Poi fecero a pezzi il suo corpo, portarono i resti in un luogo chiamato Cinaron e là li bruciarono.

La chiesa nei secoli posteriori non riconobbe mai nel vescovo Cirillo il mandante del feroce assassinio. E occultò la figura di Ipazia che solo durante l’Illuminismo fu riscoperta. La storia insegna che la sua selvaggia uccisione segnò l’inizio di un lungo periodo di oscurantismo. In cui i cristiani si trasformarono da martiri a persecutori. E l’assolutismo religioso tentò di imbavagliare la ragione e la diversità di opinione, soprattutto se provenivano dalla bocca di una donna.

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