Epitteto, storia di un filosofo anticonformista

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Mi piace pensare a Epitteto, filosofo e libero pensatore, come ad un intellettuale sempre attuale. Ci sono riflessioni che non hanno tempo. Questo è vero in generale in filosofia, ma in lui lo è particolarmente. Basti considerare uno dei suoi detti principali, il cui senso è “L’uomo non soffre per le cose ma per il modo in cui le vede”, per avvertirne la modernità.
Si hanno poche notizie certe sulla sua biografia. Si ritiene sia nato intorno al 50 d.C. a Ierapoli, antico nome di Pamukkale in Turchia, da una schiava e quindi schiavo lui stesso. Fortuna vuole che viene acquistato da Tiberio Claudio Epafrodito, ex schiavo e potente segretario di Nerone, che lo fa istruire a Roma, in compagnia di filosofi di stampo stoicista, ricevendone quella connotazione di uomo pragmatico e razionale, dove l’etica e la spiritualità si basano sull’autocontrollo e il distacco dalle cose. Sono questi gli elementi della saggezza, traguardo che resta individuale.

Lo stoico cerca una via autonoma, scorporata da tutti quei condizionamenti ricevuti nella sua permanenza in società. Tuttavia, non c’è egoismo. Persone come Epitteto sono attente alle necessità altrui, vivono umilmente, anche quando hanno una buona posizione sociale. Intorno ai suoi trent’anni viene reso libero, ma circa nell’anno 90 d.C. è costretto a lasciare per sempre Roma, senza rientrare mai più in Italia. Stessa sorte per altri filosofi e uomini di scienza ed intelletto, per un provvedimento dell’imperatore Domiziano che vedeva negli intellettuali un possibile pericolo politico.

Epitteto si stabilisce nell’Epiro, area geografica nel sud-est dell’Europa. Apre una sua scuola e si dedica all’insegnamento. Non si cura di scrivere, non pensa alla gloria o ad una notorietà postuma, ma per fortuna lo farà uno dei suoi migliori allievi, Arriano di Nicomedia che verrà ricordato con il nome di Flavio Arriano. Il discepolo riporta fedelmente tutto, ricavandone almeno otto volumi originari: si tratta di “I discorsi di Epitteto”. Solo quattro volumi sono arrivati a noi, oltre a “Il manuale di Epitteto” che è sostanzialmente una sintesi del pensiero e degli insegnamenti del Maestro.

Pur con l’infanzia difficile, la non buona salute fisica, ecco che in vecchiaia Epitteto ottiene quel rispetto e quella considerazione che, pur non cercate, gli vengono riconosciute. Tant’è che l’imperatore Marco Aurelio, ch’era ancora bambino alla morte del filosofo, parlerà di lui con molto riverenza, al pari di una grande guida morale e spirituale. Grazie ad Arriano, oggi possiamo conoscere il pensiero di Epitteto che, stando agli scritti, aveva un modo di esprimersi sintetico, netto, senza arrovellamenti mentali, arzigogoli inutili. Va dritto al senso delle cose.

Torniamo al concetto accennato ad inizio articolo “L’uomo non soffre per le cose ma per il modo in cui le vede”, ovvero non è il “fatto” che turba ma la sua “interpretazione”. Questo ci rimanda agli atteggiamenti mentali, quell’insieme di paletti, paradigmi, schemi, con i quali ci rapportiamo al vivere, al quotidiano, all’altro e a noi stessi, filtrando la realtà, codificandola attraverso i propri riferimenti interpretativi, facendola a nostra immagine soggettiva più che oggettiva. Nell’osservazione di questi aspetti, per estensione arriviamo anche al famoso “qui ed ora”, normalmente associato ad una visione buddhista. Se sei concentrato nell’attimo presente, l’unica realtà esistente è solo quella, distaccandoti da sovrappensieri, alchimie mentali, fughe nel passato (che potrebbero alimentare inquietudini) o fantasie futuriste su ciò che potrebbe essere (generatore di possibili fenomeni ansiogeni).

Non dimentichiamo il Siddharta di tutti i tempi che siede sulla riva del fiume. L’acqua scorre in un eterno presente. L’uomo, pur ricordando successione di attimi, è in grado di rivelarsi solo nell’istante “è”. Anche il bambino che fu, in realtà non è mai andato via perché è il nutrimento stesso di ciò che è oggi il suo adulto. La capacità degli occhi di vedere in un modo o in un altro, regalando serenità o dispiacere, gioia o tristezza, è data dal tutto che esiste in quell’attimo. Una vita intera si esprime in quel preciso secondo. Ecco, allora, l’importanza del distacco dalla materia, del disincanto, del non attaccamento. Principi delle dottrine orientali, questi, che ritroviamo nel pensiero di Epitteto, così come possiamo trovarne traccia e ragione nella psicoanalisi Junghiana, nonché in una lettura più aperta e non squisitamente dottrinale degli stessi Vangeli.

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