Le fiabe di Antonio De Signoribus: “Stradivari”

di SARA DI GIUSEPPE –

Gioca con la fantasia, Antonio De Signoribus, quando non se ne va seriosamente in giro per le Marche a scovare leggende antiche e a studiarle con passione autentica e rara. E quando gioca scrive fiabe. Come il fanciullino che pascolianamente rimpicciolisce per poter veder meglio, ingrandisce per ammirare e provare stupore, egli si cala nel reale per restituirlo, arricchito dagli stilemi del racconto fantastico, a bambini e adulti in ugual misura: quelli vi scopriranno, forse inconsapevoli, le chiavi per entrare nell’oggi; questi vi adatteranno il filtro del proprio vissuto e nella fiaba ritroveranno con stupore le voci di dentro dimenticate nella fretta.

È così nella pressoché introvabile “Stradivari”, preziosa fiaba scoperta quasi per caso tra le edizioni di qualche anno fa dell’Associazione Culturale La Luna.  Lo chiamavano Stradivari perchè suonava il violino: così nell’incipit, e il soprannome che i paesani danno al protagonista ha il sapore verghiano dei paeselli dove tutti hanno un soprannome – come quel Rosso Malpelo che “si chiamava così perché aveva i capelli rossi” – e il soprannome definisce un’identità. Fa il sarto, Stradivari, ma tutto lo vogliono, alle feste, per quel suo violino che rallegra ed entra nell’anima, anche quando le note si fanno stridule se il sarto ha bevuto un bicchiere di troppo.

Ma il dato di realtà trascolora presto nella nebbia che confonde e sfuma i contorni. Il Carnevale, il ballo nella città vicina, il buon vino novello e l’invito ben pagato a suonare per la festa: di colpo nulla è più ciò che sembra e l’avventura dell’onesto suonatore di violino sarà una discesa nell’enigma, fin quasi alla perdita di sé. Salverà appena in tempo l’anima, il povero Stradivari, prima che lo sfavillio del denaro e il luccicar di lustrini lo perdano per sempre. Ma il prezzo pagato è alto, e il finale più malinconico e amaro del rassicurante vissero tutti felici e contenti.

La fantasia sa disegnare scenari inquietanti e ambigui, e nelle fiabe spesso crudeli della nostra infanzia essa ci porge chiavi e prospettive inattese per leggere il reale. Così il mistero e l’insondabile, che il nostro prosaico oggi ha espulso da sé, De Signoribus lo esplora attraversando miti e leggende, scandagliando l’immaginario popolare, interiorizzandone il sostrato etico e morale, trasferendolo nelle sue fiabe.

E queste sono allora “favole” fino a un certo punto: sono piuttosto un punto di vista “altro” sul reale, una prospettiva da cui calarsi empaticamente dentro la fragilità del nostro mondo umano, di quell’al di qua troppo avaro di fantasia e di speranza, dove tutti possiamo essere prima o poi quel violino che “non suonò più per tutto il resto della sua vita”.

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