Quei libri che aprono varchi e indicano sentieri percorribili

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

È sorprendente come certe letture fatte da ragazzi, o comunque in età giovanile, ti restino addosso per sempre e, in qualche modo, continuino ad essere presenti, vive e interattive. Sono piccoli fari, sono quelle fiammelle che vedi all’improvviso nel buio momentaneo, sono la fonte dell’ispirazione che sembra arrivare dal nulla. Mi riferisco ai libri di Borges come Finzioni, a Cent’anni di solitudine di Marquez, a Il giovane Holden di Salinger. Potremmo continuare a lungo, citando Il mito di Sisifo di Albert Camus, o autori come Sartre, Balzac, Moravia. Sarebbe un lungo elenco di titoli e nomi, senza arrivare al concetto dei sentieri paralleli. Si, è questo il punto: scoprire che se non leggi, segui una strada fatta di schemi mentali rigidi, presupposti e pregiudizi. Credi di essere te stesso senza sapere chi sei. Credi di avere un carattere ed una personalità che sono abiti stretti, paraocchi, vicoli chiusi. Ci sono letture che aprono varchi, scoprendo sentieri percorribili. Sei l’astronauta che esplora nuovi mondi dove i sistemi di riferimento sono altri, dove gli orizzonti sono totalmente diversi, i pensieri hanno altre combinazioni, l’intelligenza altri parametri, il senso delle cose una profondità neanche immaginabile. Scopri che la vita ha ampiezze che non conoscono misura. C’è sempre un oltre, un altro percorso, un’altra idea e un’altra soluzione possibile.

Ci sono libri, letti da ragazzi, che ti donano nuovi strumenti di decodifica. Uno di questi, per me è stato Il piacere del testo di Roland Barthes. Libro piccolo e breve quanto denso, è un saggio che richiede attenzione senza distrazioni. O lo leggi per davvero o è meglio buttarlo in uno scaffale. Non so perché lo comprai ma so che avendolo letto con estrema calma, tornando sovente indietro per recuperare il significato del brano, è uno di quei libri che ha contribuito a cambiare il modo di accostarmi alle cose, non solo alla letteratura. Barthes dice che quando leggi, non stai leggendo, stai vivendo, che della trama in sé e per sé non te ne importa niente.  A te interessano le virgole, i punti e soprattutto gli spazi vuoti. Se leggi immerso nella lettura, e non tanto per passare il tempo, avrai bisogno di quegli spazi.

Rallenti quando intravvedi una virgola, ti fermi in un punto e, soprattutto, ti lasci andare nel vuoto che c’è tra le frasi, tra le righe. Ne hai bisogno come dell’ossigeno se stai leggendo per davvero perché in quegli spazi, in quei vuoti, stai metabolizzando. Tornano a galla le esperienze di vita, sale su quel sentimento sopito, quell’emozione che tenevi nascosta, quel sogno nel cassetto, quel coraggio che ti occorre, quel mondo parallelo che non vedevi. Ti accorgi che sei su un nuovo palcoscenico e, interpretando un ruolo, capisci finalmente che quel “ruolo”, non è la finzione ma la realtà. Tu sei quello che credevi di non essere, sei finalmente il mondo aperto dove puoi camminare come non hai ancora fatto. E sai che gli altri non capiranno fintanto che a loro volta resteranno dentro i binari, dentro schemi chiusi, dentro vite a perdere.

Barhes parla dell’interazione come risultato di una lettura, non la bellezza delle parole ma del viaggio che fai in quelle parole. Ecco che allora la scelta della punteggiatura non è solo estetica, la bellezza del testo non è solo eleganza o qualità della scrittura. Sono le stazioni dove ti fermi, ti ristori, ti ritrovi e ti scopri in una vastità tutta da reiventare o rivelare.  Il piacere del testo lo porto dentro. Quando ascolto qualcuno non ho fretta di rispondere. Anche in quel parlare, se sensato, ci sono virgole e spazi vuoti. Se guardo un panorama, so che ho bisogno di lentezza perché altrimenti non potrei accorgermi degli infiniti dettagli senza i quali quel panorama non sarebbe tale. A chi mi dice che il tempo è prezioso, che si corre, che tutto è competizione, scivolando così su tutti gli stereotipi più abusati di un tempo che ci identifica solo sulla base delle cose che compriamo e mostriamo, rincorrendo la banalità dell’esposizione, io non dico nulla. Non si parla a chi non ascolta e non osserva.

Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata