Faggeta di Canfaito, quel gioiello della natura che profuma di eterno

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

O Titiro, riposando all’ombra di un ampio faggio, tu componi con l’esile zufolo una melodia silvestre… (Virgilio, Bucoliche). Bisogna immaginarlo Virgilio, qualche decennio a.C., mentre compone uno dei suoi lavori letterari più famosi, Le Bucoliche, raccolta di dieci componimenti poetici.
E bisogna immaginare anche Titiro, uno dei suoi personaggi, che guarda Melibeo che sta andando via, all’ombra di un faggio dalla grande chioma, suonando il suo zufolo, quell’antica forma di flauto. Melibeo va desolato, lui resta. E bisogna anche immaginare quel suono leggero che segue i passi di Melibeo. Lui sempre più lontano, fino a perdersi oltre il bosco. Il suono sempre più diluito, sfumato nei giochi di luce ed ombre, tra i rami maestosi, le fronde folte, i pensieri solitari. Ed infine, immaginiamo il tempo che scorre. Anche Titiro scomparirà, giacché nulla è eterno, ma l’albero, quel faggio, ne avrà viste di cose e intere generazioni umane. Mentre gli uomini si dilettano a credere che il mondo sia nelle loro mani, il faggio raggiunge, nella sua crescita, altezze che sfiorano e superano anche i trenta metri ed oltre, ovvero palazzi di dieci,dodici piani. Ed arrivano a cinquecento anni di vita, l’equivalente di 20 generazioni. È la relatività delle cose.

Una ventina di secoli, da Virgilio e noi, una storia complessa, infinite guerre, costruzioni e distruzioni, biblioteche che contengono un apparente sapere, cicli e ritorni. E mentre tutto questo accade, nell’arco di 80 generazioni, abbiamo semplicemente 4 faggi messi in ordine temporale. Uno ogni cinquecento anni. E immaginiamo un’intera foresta di faggi così, con tronchi che sono sculture, tutte diverse tra loro. Alberi dalle forme naif, fantasiose, irripetibili, ardimentose. Forme magistrali, uniche, incredibili. Quando guardi, guardi davvero. Non puoi non restare sorpreso, non puoi non perderti ammirato seguendo l’andamento verticale che si apre su un’articolazione di rami possenti che sviluppano chiome a ventaglio dall’ampio raggio. Quando hai immaginato tutto questo, hai un’idea di quel gioiello della natura che si chiama Faggeta di Canfaito, nell’altopiano sulle pendici del Monte San Vicino, a circa 1000 metri di quota in provincia di Macerata.

Qui si trova il faggio più grande delle Marche, inserito tra i trecento alberi monumentali d’Italia. Ha una circonferenza che supera i sei metri. Ci piace pensare che Virgilio abbia visto il suo Titiro nell’ombra di un faggio così. E non è difficile immaginare quel suono vellutato dello zufolo che accompagna Melibeo, mentre i rami e le foglie si divertono a creare vibrazioni sonore sempre più sottili, come le energie vitali, come la sottigliezza dei sentimenti più autentici. Come il passo attento dei walkers. Attento al rispetto, attento a sentirsi dentro quella magia, attento al proprio respiro nella consapevolezza che non è indipendente dal lavoro della fotosintesi che la faggeta elabora, regalando un ossigeno rigenerato ed essenziale. Come non mai.

Recentemente, il gruppo dei camminatori dell’Adriatico Team Nordic Walking, con l’istruttore Tonino Luciani, ha esplorato i sentieri della Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, iniziando dai Prati di San Vicino, addentrandosi nelle foreste più giovani, salendo per viottoli, soffermandosi presso le freschissime fontane dalla tipica forma per l’abbeveraggio del bestiame e infine concludendo il percorso nella faggeta più famosa, quella di Canfaito. E lì, l’attenzione al passo rapido si attenua perché l’interesse si sposta al vero signore del mondo che è la Natura. Il passo rallenta, la mente scivola in ricordi d’infanzia, riaffiorano nostalgie artistiche, ci si pacifica. Questo sa fare un bosco imponente: ti ridà la misura del vero, di ciò che conta, di quello che è sostanza e non vacuità. E anche bere dell’acqua acquista un significato diverso, ti senti parte, in sintonia, in armonia.

E a fine giornata, non poteva mancare una visita all’antico borgo di Elcito, praticamente costruito su uno sperone roccioso e che vive giorni di gloria estiva quando i turisti si lasciano incuriosire da un borgo piccolissimo ma così ben curato da sembrare un set cinematografico o la descrizione di un libro fantasy. Il gruppo era partito dalla Riviera delle Palme alle sette del mattino e fa ritorno alle 19. La stanchezza si fa sentire. Ma chi l’ascolta? L’esperienza del cammino in un luogo così senza tempo, così vitale è troppo forte. La vita sarà anche impermanente, ma quel bosco sa di eterno, di sacro, di assoluto.

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