“Il tè veneziano ad Ascoli”, il 5 marzo con l’associazione Tea Time Club. Ecco il programma

di REDAZIONE –

ASCOLI PICENO – L’associazione Tea Time Club dà il benvenuto al Carnevale con una pregevole iniziativa che porterà “Il tè veneziano ad Ascoli”, martedì 5 marzo alle ore 17 presso Ozio (Cacciannanzeria e Osteria in via Vidacilio,1). Nel corso della serata, oltre a degustare diverse qualità di tè accompagnato da dolci tipici del periodo carnascialesco, sarà possibile ammirare un apposito allestimento di contenitori in argento, teiere, tazzine fino ad arrivare a zuccheriere: oggetti d’epoca che hanno caratterizzato l’Italia del Settecento, appartenenti alla collezione di Gianni Brandozzi. A rendere ancora più interessante l’iniziativa, sarà la rappresentazione artistica di tre maschere veneziane a cura dell’attore e regista pedagogo Francesco Aceti. Alla serata sarà abbinato anche il contest fotografico “Fatti una foto e postala sulla nostra pagina facebook, la foto con più like avrà in premio un regalo unico”.

Di seguito riportiamo un interessante excursus sul Settecento e il felice connubio tra le sale da tè e il Carnevale, fornito dall’associazione “Tea Time Club” presieduta da Maria Ragionieri.

Durante il Settecento la povera gente, soprattutto delle città di Firenze, Roma e Napoli soleva spesso giocare al lotto, un’abitudine esercitata anche con un certo accanimento. Nella Venezia settecentesca non era il lotto il vero gioco d’azzardo usuale, bensì altri giochi d’azzardo tramite i quali si rischiava di dissestare in brevissimo tempo cospicui patrimoni. Le donne giocavano in misura maggiore dei loro mariti. Nel palazzo a San Moisé, con regolare licenza governativa, ed era nei fatti una pubblica casa da gioco, oltre alle sale da gioco vere e proprie, c’erano due “sale da rinfresco”, una per il caffè, tè e cioccolato, l’altra per vino, formaggio, salumi frutta.

Nel Carnevale veneziano odierno, a Palazzo Pisani Moretta è il grande ballo in maschera “Un sogno ad occhi aperti” l’evento che resiste a ogni epoca e tra lo sfoggiare dei costumi di sartoria c’è una signora vestita da “tavolino da tè con i biscotti e tutto e un vaso da fiori in testa”. Quindi il tè fa decisamente parte della tradizione veneziana durante il Carnevale, poiché la bevanda si è diffusa notevolmente nell’occidente: infatti la prima memoria storica del tè si ha nel 1559, quando a Venezia venne pubblicato il libro di Ramusio, il quale venne a conoscenza dei racconti sul tè tramite un commerciante persiano che aveva interessi negli scambi di merci tra l’Oriente e Venezia. Pertanto fu in quell’epoca che a Venezia, accanto a un’importante selezione di argenti, dipinti, stampe e antichi erbari settecenteschi ci furono le  “bevande coloniali”: tè, caffè e cioccolato e con esse le magnifiche teiere, caffettiere e cioccolatiere in argento oltre ad altre suppellettili quali zuccheriere, cucchiaini, guantiere. E quindi è dal Settecento in poi che il tè ha influenzato gli usi e i costumi italiani.

Nel Settecento in Italia è la moda rococò  che porta alla rivoluzione sociale ed estetica: ambienti più piccoli e intimi fanno da scenario alle nuove mode, come quella del tè, del cioccolato, del caffè, bevande esotiche che rivoluzionano le abitudini di un Paese e delle famiglie, richiedendo sempre con maggior insistenza suppellettili degne e di gusto per poter prendere parte a queste nuove usanze, a queste ricercate occasioni conviviali.

Le origini storiche del Carnevale di Venezia vanno ricercate in due antichissime tradizioni: i Saturnali latini e i culti dionisiaci greci, grandi feste religiose che prevedevano l’uso di maschere e rappresentazioni simboliche. Le origini e il significato del Carnevale di Venezia prendono spunto da queste tradizioni, rielaborandole per i propri fini: nei Saturnali dell’antica Roma l’ordine sociale veniva sovvertito: schiavi e liberi cittadini si riversavano nella città per far festa con musica e balli sfrenati; nelle Dionisie greche processioni e rappresentazioni teatrali  avevano lo scopo di unire l’essere umano con la natura in un’armonia superiore, priva delle convenzioni sociali stabilite dall’uomo.Venezia ha quindi reinterpretato le antiche feste greche e romane per far fronte alle necessità della Serenissima, che promuoveva il Carnevale per concedere alla popolazione, in particolare ai ceti più umili, un periodo dedicato al divertimento e alle feste.

La parola Carnevale deriva dal latino carnem levare (eliminare la carne), riferendosi al giorno dopo i bagordi di “martedì grasso”, in cui iniziava il periodo della Quaresima con astinenza e digiuno, dunque già dal 1271 abbiamo notizia di botteghe artigiane per la produzione di maschere. É dunque la Serenissima, al pari di quanto già avveniva nell’antica Roma, a concedere alla popolazione, e soprattutto ai ceti più umili, un breve periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati. Attraverso l’anonimato che garantivano maschere e costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia. Evidentemente tali concessioni erano largamente tollerate e considerate un provvidenziale sfogo alle tensioni e ai malumori che si creavano inevitabilmente all’interno della Repubblica di Venezia, che poneva rigidi limiti su questioni come la morale comune e l’ordine pubblico dei suoi cittadini.

L’etimologia della parola maschera infatti, ci riporta al vocabolo arabo maschara, che significa buffonata, burla. Anche gli attori teatrali erano soliti indossare un volto artificiale in modo da enfatizzare le caratteristiche fisiche o caratteriali di un certo personaggio. Dal 1271 con la festa del Carnevale, il cui significato era la liberazione e la sovversione dei ruoli costituiti, la maschera diventa l’accessorio chiave: chi la indossa può celare la propria identità, e diventare un nuovo misterioso individuo. Fin dalle origini del teatro, la maschera, era parte integrante del costume di un attore. Ne celava il viso e camuffava la voce, mettendo in risalto determinate caratteristiche del personaggio che interpretava. Le opere teatrali venivano spesso rappresentate durante il periodo del Carnevale, anche se ricalcavano lo spirito più semplice e sobrio dei festeggiamenti, quello popolare. Per questo le commedie di Goldoni sono un prezioso documento sul Carnevale di Venezia.

Uno dei travestimenti più comuni nel Carnevale antico, soprattutto a partire dal XVIII secolo, rimasto in voga ed indossato anche nel Carnevale moderno, è sicuramente la Bauta: questa figura, prettamente veneziana ed indossata sia dagli uomini che dalle donne, è costituita da una particolare maschera bianca denominata larva sotto un tricorno nero e completata da un avvolgente mantello scuro chiamato tabarro. La Bauta era utilizzata diffusamente durante il periodo del Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri galanti ed ogni qualvolta si desiderasse la libertà di corteggiare od essere corteggiati, garantendosi reciprocamente il totale anonimato.

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La Bauta, maschera tipica del Carnevale di Venezia