Adrian, Celentano non è poi così “rock” quanto pensa

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

Dopo anni di liti giudiziarie con varie tv, dopo un battage pubblicitario senza precedenti, settimane di spot irritanti con un audio di almeno dieci decibel superiori alla media che hanno praticamente rotto la barriera del suono, lunedì sera ha preso il via su Canale 5 Adrian, la serie evento ideata da Celentano e realizzata da Milo Manara. Non so voi, ma io ero già stanca del programma alla sigla iniziale e le cose non sono migliorate durante quella specie di “Aspettando Adrian”, con Balasso & C. alla disperata ricerca di una battuta originale. Però… come si fa a non dare almeno un’opportunità al cartone distopico del grande Molleggiato?

Il futuro che ci prospetta ha raggiunto livelli di tecnologia talmente elevati da aver trasformato il pianeta in una realtà di ologrammi. Il governo controlla la popolazione attraverso l’uso di guardie spietate in grado di comparire ovunque all’improvviso e, un attimo dopo, smaterializzarsi letteralmente senza lasciare traccia. Sarà pure il 2068, ma a Milano a capodanno si va ancora al concerto dei Negramaro. E vabbè. Ai margini della città si trova un’oasi rimasta pressoché incontaminata: è la via Gluck, un piccolo quartiere dove i grattacieli d’acciaio cedono il passo a piccole case coi panni stesi al balcone, dove è ancora possibile incontrare persone anziane. E’ qui che vive Adrian l’orologiaio, l’unico soggetto ancora padrone del suo tempo, che trascorre di giorno ad accoppiarsi con una infoiatissima Gilda, di notte a fare il giustiziere mascherato che protegge i più deboli ballando il flamenco e scalciando come un esperto di arti marziali. E vabbè.

Il governo esercita il potere facendo leva sulla paura e sull’odio, mentre l’orologiaio canta l’amore ed è per questo che è il ricercato numero uno. Questa è l’idea portante della narrazione: in un mondo dominato dalla corruzione, dalla violenza, dalla mafia che è diventata un’istituzione con tanto di sede ufficiale e insegna pubblicitaria, è l’amore a fare paura perché è l’unico sentimento rivoluzionario che può cambiare le sorti dell’umanità. Ed è un’idea che funziona.

Peccato che non sia sufficiente a fare di Adrian un capolavoro come altri che lo hanno preceduto, che sia 1984 di Orwell o Blade Runner di Ridley Scott, o mille altri prodotti di animazione giapponese. Dialoghi che sembrano usciti da un cinepanettone, scene di sesso sparse a casaccio e completamente inutili (quando non ridicole), la violenza sulle donne trattata con superficialità e liquidata col solito moralismo (“Se non aveste bevuto qualche bicchiere di troppo non avreste avuto questo approccio da parte dei ragazzi”, è così che Adrian rimprovera due ragazze scampate a uno stupro di gruppo). A tratti ho avuto la sensazione di un soggetto ideato da chi vorrebbe far dimenticare gli anni che ha, ma che invece è rivolto più alla sua generazione che a quella successiva. Celentano è un talento unico, non si discute, ma non è poi così “rock” quanto pensa.

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