Il disco della settimana: Nico, 1998 – Colonna sonora originale

di PAOLO DE BERNARDIN –

Con qualche mese di ritardo rispetto all’uscita cinematografica ecco finalmente la registrazione delle canzoni di Nico, 1998, il magnifico lavoro di Susanna Nicchiarelli presentato lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia e vincitore assoluto del Premio Orizzonti e Pasinetti e pluripremiato al recente David di Donatello. Grazie alle incredibili doti canore di Trine Dyrholm, attrice danese di spessore, protagonista di “Festen” e “La comune” di Thomas Vinterberg, e di “Love is all you need” di Susanne Bier, il disco si apre con la voce che parla con Ari, suo figlio e con un giornalista che le chiede di “Femme fatale” dei tempi dei Velvet Underground. E’ qui la chiave di tutto. Nico detesta la domanda. Quella Nico è solo un fantasma del suo passato e della sua bellezza che nel film viene totalmente rinnegata. In realtà, all’epoca. la vera Femme Fatale nel gruppo era Lou Reed che mal sopportava la presenza dell’algida teutonica alla corte di Warhol. Solo John Cale le fu accanto, fu lui a regalarle il piccolo harmonium che la accompagnerà sempre nei suoi dischi come solista. Veniva di Berlino ma era nata a Colonia (molti riportano diverse località, Polonia compresa) in epoca nazista, Christa Paffgen (vero nome di Nico in omaggio al regista greco etiopico ma naturalizzato francese, Nico Papatakis) e passando per Parigi sfruttarono la sua bellezza come modella per i giornali di moda (divenne così Krista Nico). Approdò presto anche al cinema e nel 1958 lavorò con Alberto Lattuada (“La tempesta”) e con Rudolph Maté (“Come prima”) prima di venire a Roma a girare a fianco di Mastroianni il ruolo di Nicoletta ne “La dolce vita” di Fellini. A Parigi Alain Delon ebbe una relazione con lei il cui frutto segreto e mai dichiarato da suo padre fu il figlio Ari. Fu accolta alla corte di Serge Gainsbourg che le fece incidere nel 1963 “Striptease” per il film omonimo di Jacques Poitrenaud, di cui lei era protagonista. La sua voce cavernosa e quasi ancestrale scandalizzò lo stesso Gainsbourg e il brano fu bocciato a favore della leggerezza vocale di Juliette Greco e il nastro finì in un cassetto riaperto solo di recente. Trasferitasi a Londra non le mancò il giro dei Rolling Stones (ebbe una relazione con Brian Jones) e frequentò Jimmy Page e Bob Dylan che per lei compose “I’ll keep it with mine”. Ebbe poi un lungo rapporto affettivo con il regista sperimentale Philippe Garrell (padre dell’attore Louis Garrell) col quale ebbe modo di lavorare in film come “Desert shore” (girato in Islanda in cui appare anche Ari), “La cicatrice intérieure” e molti altri. Si era trasferita a New York per frequentare la scuola di recitazione di Lee Strasberg e grazie a Bob Dylan entrò in contatto con Andy Warhol che la rese protagonista di alcuni suoi film sperimentali fino ad approdare al celebre “Exploding Plastic Inevitable”, lo show nel quale le psichedeliche lampade stroboscopiche e il rock dei Velvet facevano il paio con l’LSD. Nico era l’ospite quasi non gradita e si sentiva tradita per non essere una compositrice. Sotto la protezione e amicizia di John Cale riuscì nel suo intento. Alla Factory conobbe Jim Morrison con un flirt e a cui dedicò l’appassionato “The end” con una capitale e tenebrosa versione del brano dei Doors. Ebbe una love story per un anno col bellissimo Jackson Browne, diciottenne nato ad Heidelberg che le suggerì le sue prime canzoni da incidere in “Chelsea Girl” (“The fairest of the seasons”, “These days” e “Somewhere there’s a feather”). Furono però due album importanti e ricercatissimi all’epoca come “Marble index” e “Desertshore” a farla esprimere totalmente come autrice e cantante di Gothic Rock ante litteram. Furono gli anni Ottanta il momento in cui la vera Nico del film uscì allo scoperto con album dark e decisamente ossessivi e oppressivi nei quali la tossicodipendenza emergeva e dominava la sua persona (“Drama of exile” e “Camera obscura”). Da “Janitor of lunacy” a “Nibelungen” e “My heart is empty”, la Sacerdotessa della Luna, Nico viene riproposta con una perfezione tale da Trine Dyrholm da far spesso pensare che ci troviamo di fronte a registrazioni d’epoca. Accompagnata da un gruppo di eccellenti musicisti rock e post rock come i torinesi Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo che hanno sempre lavorato con la Nicchiarelli, dal bellissimo esordio di “Cosmonauta” nel 2009 a “La scoperta dell’alba” nel 2013, la Dyrholm gioca tutte le sue carte con un’espressività unica (“1986 Nettuno Disco Ring”, “My only child”) sia nelle parti recitate che in quelle cantate in studio e dal vivo e a cappella. Col cuore vuoto e spezzato le canzoni si diramano come demoni interiori, con un’intensità unica che coinvolge lo spettatore fino alle cover di “Nature boy” di Eden Abhez (dedicata ad Ari), “Wonderful life” di Black e di “Big in Japan” degli Alphaville. Un film e un disco che rispettano totalmente l’artista Nico che rinnega la sua bellezza, il suo passato e si dimostra autrice apprezzata ancora di più dalle nuove generazioni. E delicatamente il film termina con la sua voce che saluta Ari chiudendo la porta di casa ad Ibiza, dove si era trasferita, dicendo: “Ari prendo la bicicletta, esco”. Tutto prima della caduta e dell’emorragia cerebrale che la uccise quando era il 18 luglio 1998.

STANDARD
(La storia delle canzoni)

Georgia on my mind (Gorrell-Carmichael), 1930

Georgia, Georgia per tutto il giorno. Solo una vecchia dolce canzone tiene Georgia nei miei pensieri. Sto parlando di Georgia. Georgia una canzone che parla di te risuona dolce e chiara come la luce della luna attraverso i pini. Altre braccia mi stringono, altri occhi mi sorridono teneramente, nei sogni sereni vedo che un’altra strada mi riconduce da te. Ho detto Georgia, oh Georgia non trovo pace solo questa vecchia dolce canzone  terrà per sempre Georgia nella mia mente. 

Da quando è nata questa canzone è sorto anche il classico dilemma: si parla di una donna oppure dello stato della Georgia, nel sud degli Stati Uniti a nord della Florida? All’università dell’Indiana i due studenti Stuart Graham Steven Gorrell e Hoagy Carmichael erano amici molto stretti e compagni di stanza alla facoltà di legge. Hoagland Howard Carmichael, detto Hoagy (Bloomington, Indiana 1899-Rancho Mirage, California, 1981) si dilettava con la musica e suonava il pianoforte e cantava con una voce strana e nasale ma molto affascinante. Fu sua madre la prima maestra di canto e di pianoforte, due arti che gli aveva insegnato dopo la prematura morte della sorellina Joanne. Cera un’altra sorella in casa. E si chiamava proprio Georgia. IL testo scritto da Gorrell avrebbe fatto pensare ad una canzone d’amore per una ragazza. Nelle sue due autobiografie Carmichael però si smentì e mentre nella prima parlava di sua sorella in quella successiva fece riferimento allo stato del sud. Lentamente così il senso della terra e dei luoghi prese il sopravvento fino a diventare oggi il vero inno della Georgia. Secondo il biografo Richard Sudhalter fu il sassofonista Frank Trumbauer che suggerì l’idea del brano legato alla zona geografica. Composto nel 1930 il brano su subito inciso da Hoagy Carmichael nel mese di settembre ed ebbe un inciso suonato addirittura da Bix Beiderbecke (fu l’ultima sua incisione prima della morte a soli 28 anni per alcolismo). L’anno dopo la versione dello stesso Trumbauer ottenne un gran successo di vendite come pure quella delle bravissime Ethel Waters e Mildred Bailey (1931). In quell’anno arrivò addirittura in Italia grazie a Gorni Kramer con i suoi solisti della scuola milanese di jazz ed i Three NIggers of Broadway. Molti jazzisti amarono quella canzone e tra i primi Louis Armstrong (1931), Coleman Hawkins quando militava nei Mound City Blue Blowers (1931), Artie Shaw, Plas Johnson e Glenn Miller (1939), poi Fats Waller, Django Reinhardt con l’Hot Club de France a fianco di Joe Venuti, quindi Gene Krupa (1941) con la sua orchestra in cui cantava Anita O’Day (fu uno dei successi dell’anno), Billie Holiday. Con l’avvento del rock’n’roll però il brano ebbe dei cedimenti e cadde quasi nel dimenticatoio (nonostante le versioni di Chet Atkins, Jerry Lee Lewis, Dick Farney, Spencer Davis Group, Dave Clark Five, The Righteous Brothers, Jerry Reid)  fin a quando uscì sul mercato “The Genius hits the road” di Ray Charles la cui versione di Georgia on my mind, era il 1960, conquistò il mondo intero dal primo posto in classifica al Grammy Award. Proveniente dalla Georgia, Ray Charles stabilì con certezze matematiche che quella era la canzone della sua amata terra, brano che nel 1979 fu ufficialmente dichiarato come canzone ufficiale dello Stato dopo essere stato anche l’inno ufficiale della campagna elettorale  del presidente Jimmy Carter e nuovo Grammy Award nella versione di Willie Nelson che conquistò le classifiche della musica country alla fine dei Settanta. E ancora oggi viene eseguita addirittura da gruppi rap come i Field Mob. A “Georgia on my mind” sono legatissimi tutti gli artisti di ogni tendenza da Stevie Winwood a Robert Plant, Chuck Leavell, Jerry Garcia, Greg Allman, Leon Russell, Eric Clapton, Deep Purple, James Brown, Van Morrison, Jackie Wilson, Maceo Parker, Gladys Knight, Quincy Jones, Lou Rawls, Shirley Horn, Dean Martin, Frank Sinatra, Aretha Franklin, Nat King Cole, Etta James, India Aire, Gerald Albright, Jamie Cullum, Christina Perri, Cher, Annie Lennox, Michael Bublé, Michael Bolton, Alicia Keys, Coldplay, Hugh Laurie, Usher. In Italia la canzone ebbe una bella versione nel 1969 con la voce di Mina e ai nostri giorni da Raphael Gualazzi, Fabrizio Bosso, Giorgia. Imperdibile la versione francese dei Double Six of Paris nel 1964 e di recente del nuovo crooner Garou. E la lista non finisce qua perché “Georgia on my mind” ha avuto una pletora di versioni compresa quella di Jamie Foxx, bravo interprete di Ray Charles nel biopic “Ray” (2004) del regista Taylor Hackford pluricandidato agli Oscar.

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