Milano, pendolari spingono l’autobus. E partono i luoghi comuni

di MASSIMO CONSORTI –

Ore 8 del mattino. A Milano, si sa, è un delirio. Perdere tempo alle 8 del mattino equivale a farsi togliere un’ora in busta paga. A quell’ora a Milano nessuno ha voglia di scherzare anzi, sono tutti abbastanza ingrugniti, specie se la giornata è uggiosa e ad attenderti sono otto ore di una noia mortale. Il luogo: Viale Tibaldi, che è uno snodo. A poche fermate, l’associazione “Pane quotidiano”, poco più in là il nuovo quartiere Bocconi. All’improvviso il filobus che effettua la linea 91, quella cruciale, si ferma. Resta immobile, come se qualcuno gli avesse tolto la corrente. Non c’è niente da fare se non tentare di spingere il veicolo per fargli riprendere un contatto elettrico serio.
Che fanno i milanesi? Si guardano negli occhi e, come in una sfida all’OK Corral con il filobus, si tirano su le maniche e spingono. Il filobus riparte, tempo necessario 10 minuti, la busta paga è salva. C’è da dire che qualche anno fa a Napoli accadde la stessa cosa. Sarà che il sindaco era Bassolino, ma tutti avevano voglia di riprendersi la socialità. Un autobus restò in panne e la gente lo spinse. Accadde una sola volta nella storia, però accadde.
Ora, siccome ci capita di frequentare Roma per lavoro, dobbiamo dire purtroppo che nella Capitale non accadono le stesse cose. Se un autobus si ferma sono cavoli amari dei viaggiatori.Una volta, appena usciti dalla Stazione Termini, ci è capitato di vedere il 75, il nostro autobus, fermo e spento. Ci siamo avvicinati temendo uno sciopero e invece ci dissero che era guasto.
Il contesto: i passeggeri a terra smadonnavano e telefonavano nervosamente. Tre, diconsi tre, tecnici erano fermi, intenti a guardare il motore dell’autobus, toccandosi il mento manco fossero Einstein. Ma l’autista era il vero personaggio. Seduto al suo posto, stava mangiando un panino simile alla mortazza, tracannando una bottiglia di birra che teneva saldamente nell’altra mano. Finita la colazione, l’autista accese una sigaretta che iniziò a tirare come fosse un aspirapolvere. Sempre seduto, e con la sigaretta in mano, si rivolse ai tecnici dicendo: “Che famo, annamo?” Dite quello che volete, ma i romani sono inarrivabili. Arrivammo al nostro appuntamento con un’ora di ritardo, ma alla fine, arrivammo.