La grotta della Beata Vergine di Frasassi, luogo d’arte e profonda religiosità

Genga, Tempio del Valadier

di AMERICO MARCONI –

Se c’è un luogo nelle Marche che condensa momenti artistici vibranti di misteriosa e profonda  religiosità, questo luogo sta nella gola di Frasassi presso la grotta della Beata Vergine. La cavità si raggiunge con un largo sentiero che sale sulla sinistra del fiume Sentino, arrivando all’antro si rimane immobilizzati dalla meraviglia: un tempio a pianta ottagonale si erge sotto di esso. Lo volle papa Leone XII che era nato nel vicino paese di Genga e fu realizzato nel 1828 su progetto di Giuseppe Valadier con blocchi di travertino provenienti da una cava soprastante. Dalla scuola del Canova proviene la soave Madonna con Bambino in bianchissimo marmo di Carrara che troneggiava sull’altare e che oggi possiamo ammirare nel Museo Parrocchiale di Genga.

Inerpicandosi alle spalle del tempio c’è l’imbocco della grotta vera e propria che si addentra nelle viscere del monte. Dentro di essa, alla base di una parete costituita da sedimenti, nel 2007 il fotografo e speleologo Sandro Polzinetti scoprì una delle sculture più incredibili di tutta Italia: una statuina alta 8,7 centimetri  ricavata da una stalattite e risalente a circa 20.000 anni fa; esposta poi al Museo Archeologico delle Marche ad Ancona. Rappresenta un figura femminile dalle forme generose, nell’atteggiamento di piegare gli avambracci in avanti a mani congiunte, con un ventre prominente e grandi seni. Essa rientra nella tipologia delle Veneri del Paleolitico superiore, epoca in cui l’homo habilis sviluppò l’attività simbolica e iniziò a dipingere scene di vita e incidere statuine femminili nelle grotte.

Dai Pirenei, attraversando l’Europa, fino alla Siberia sono state ritrovate 650 statuine simili, realizzate nei materiali più disparati: argilla, calcare tenero, carbonato di calcio (la stalattite appunto), corno di renna, avorio di mammuth.

Le Veneri del Paleolitico restano un enigma. Erano semplici amuleti o addirittura idoli? La tecnica nella quale sono state realizzate è chiamata “di tutto tondo” e indica una visione del mondo, delle cose e della vita che sono intese come una totalità.

Alla vigilia di Natale e all’Epifania dal 1981 lungo il sentiero di salita si snoda il più grande presepe vivente al mondo per estensione, con 300 figuranti. Il gruppo della natività è accolto suggestivamente sotto l’enorme antro della grotta. In latino il termine praesepe indica la mangiatoia che san Gerolamo, nel IV secolo, era convinto fosse collocata in una grotta.

È evidente che la gola di Frasassi con la presenza abbondante di acque anche sorgive, monti e grotte riunisce numerose valenze simboliche. Valenze che suscitarono riti alla fertilità, alla luce e alla vita; vita proveniente dal ventre della Madre Terra (Tellus Mater a dirla con lo storico delle religioni Mircea Eliade). Riti che in epoca cristiana si sono cristallizzati soprattutto intorno alla figura di Maria, Madre Celeste che incontaminata proprio nel buio di una caverna dà alla luce colui che, essendo Luce, sconfiggerà per sempre le tenebre della morte.