La storia esemplare di un soccorso a Foce di Montemonaco

Foce di Montemonaco, dicembre 1990

di AMERICO MARCONI –

Da medico del Soccorso Alpino della stazione di Ascoli Piceno ricevetti la sera del 18 dicembre del 1990 – trent’anni fa – una telefonata. Foce di Montemonaco era rimasta isolata da una settimana per una valanga che aveva bloccato la strada di accesso. C’erano tre persone da soccorrere e portare via: Giuditta Qualeatti di 70 anni e i coniugi Amici di 68 anni. Il giorno dopo dovevamo raggiungere il campo sportivo di Arquata del Tronto. Un elicottero dell’esercito, approfittando di una prevista schiarita del tempo, ci avrebbe trasportati a Foce.

L’Augusta Bell AB 212 arrivò puntuale. C’imbarcammo io e Tito Ciarma, forte ed equilibrata guida alpina. Il viaggio fu spettacolare, sorvolando il manto bianco della neve da cui spuntavano le punte degli abeti e delle rocce. A Montemonaco salì a bordo Benito Ricci e di nuovo in volo. Il comandante dell’elicottero decise che non sarebbe atterrato: c’era troppa neve sui pendii intorno a Foce. Ci calò appesi al cavo in acciaio del verricello. Stabilì un orario di ritorno. Tutto andò per il verso giusto. Ritornato l’elicottero Benito fu carrucolato con Guerrino. Io con la consorte Licetta che reggeva una gabbia con dentro la gatta Mimma. In un turbine di neve, prodotto dalle pale dell’elicottero, fummo issati a bordo. Di ritorno verso Montemonaco il comandante nell’interfono disse di aver salvato persone e cose ma una gatta siamese era la prima volta.

Tornai a Foce dopo due anni a trovare Guerrino e Licetta. Mi mostrarono le foto di quel giorno e parlammo della loro vita. Ambedue erano nati a Foce. Guerrino da giovane saliva anche una volta al dì al Lago di Pilato per accudire il gregge e un giorno, sopra le Svolte, s’imbattè in un lupo. Si salvò perché riuscì a non fissarlo negli occhi. Poi la guerra a Rodi, la fuga da prigioniero, il ritorno a Foce. Il felice matrimonio con Clarice Censori, detta Licetta, la nascita delle quattro amate figlie: Maria, Angela, Ines, Elisabetta. Per problemi al cuore di Guerrino e per il futuro delle ragazze, decisero negli anni ’60 di trasferirsi a Roma dove aprirono un bar. Sposate le figlie e già nonni tornarono a Foce. Prima di lasciarci Guerrino mi donò un bastone da montagna su cui aveva inciso la frase: «Lavora con gioia, ascolta con pazienza, consiglia con prudenza». Lo ringraziai facendogli notare che era proprio adatto a un medico.

Dopo venti anni decido di raccontare la storia nel libro “La Sibilla”. Una domenica d’estate torno a Foce e busso timoroso alla stessa porta. Sono accolto dalle figlie con calore, Guerrino e Licetta non ci sono più. Le foto che vidi stanno incorniciate. Appena esce il libro sono le prime ad averlo e nell’estate del 2016 organizziamo una bella presentazione nei locali del Centro Tematico a Foce. Aiutati da Rosangela Censori, loro cugina, fondamentale per la ricerca di testi nella biblioteca del Museo della Sibilla a Montemonaco. L’anno dopo per la ristampa aggiornata ancora insieme alla Cittadella dei Sibillini ospiti di Silvio Antognozzi.

Ma perché ho voluto raccontare questa storia? Perché ritengo sia una storia esemplare. Una storia che si ripete, con dedizione e coraggio dei numerosi amici del Soccorso Alpino e Speleologico, ogni volta che viene soccorso chi è in pericolo tra le montagne. Anche le vicende di Guerrino e Licetta, che con le figlie lasciano il loro amato paese e scelgono l’incertezza di un nuovo lavoro in una città lontana, sono esemplari. Perché vissute da migliaia di persone che si allontanano dai luoghi nativi, da amici e parenti, nella speranza di costruire un futuro migliore. Ed esemplare è l’amicizia, spontanea e disinteressata, che molto spesso nasce tra persone in difficoltà e le lega negli anni.

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Elisabetta Amici e Americo Marconi al Centro Tematico di Foce