Anch’io ho il diritto di vivere. Nessuna pietà per gli aguzzini di Bari

di GIUSEPPE FEDELI –

Di fronte alle nefande azioni criminose perpetrate ai danni dei ragazzi autistici del centro disabili di Bari, i “benpensanti” si sono scandalizzati (e come non scandalizzarsi?), mettendo però in secondo piano quella che dovrebbe essere la questione capitale: vale a dire la pena da infliggere agli aguzzini. In uno stato di diritto, come giurista, so che non è dato scavalcare quelle che sono le regole che presiedono al momento punitivo, in virtù del capisaldo – predicato non solo dalla nostra Costituzione – per cui la innocenza si presume fino alla prova del contrario. Ora, se le telecamere installate nelle stanze degli orrori (ricordate l’abominio ai danni di bambini “diversamente abili” ospiti della Casa di Alice di Grottammare? Che fine hanno fatto gli educatori inchiodati dalle telecamere? Tutti assolti, in primo grado, per insufficienza di prove perché il fatto non costituisce reato) attestano una prova provata (in quanto non “costituenda”), tuttavia la procedimentalizzazione in sede giurisdizionale, che è garanzia di libertà e civiltà, di un fenomeno (evento) non può essere saltata a pie’ pari.

Chi scrive, padre di un figlio affetto da questa ancora sconosciuta sindrome, non si perita di fare le considerazioni, marchiate a fuoco, che seguono. Come è solito fare. Nei lunghi anni passati sugli scranni e come arringatore/amanuense di atti e pensieri intellettual-algebrici, mi sono reso conto che il pianeta Giustizia è irreparabilmente fuori orbita (per non usare parole molto più pesanti). Sarebbe il caso, allora – mi domando, ma ne sono fermamente convinto – di abolire con un’interpretatio abrogans l’articolo di ragion fattasi (nella specie: art. 393 c.p.?).

Chi ha dentro l’anima solo tenebre, e vorrebbe contagiarne attraverso sguardi maligni e deficienti (loro sì…) esseri innocenti, che non hanno se non la purezza,né hanno chiesto a nessuno di venire al mondo “così” (ma nessuno, se non chi lo vive, può capitalizzare il valore salvifico di questa esperienza estrema, anche nella durezza della quotidianità, che però cela tanti splendori, di cui i più sono ciechi) sono gemme, fiori intoccati, che vanno coltivati in maniera particolarmente delicata: con amore. E se voi, anime prave (“guai a voi!”, suonerebbe aspra la rampogna del Sommo Poeta) non conoscete questo verbo, fuori!: ci sono tanti campi incolti da arare, ci si può dar da fare altrove (ammesso che qualcuno vi ci voglia). Oppure, si può stare benissimo in casa, da soli, unica compagnia il proprio mostruoso alter ego: estromessi da ogni relazione, da ogni consesso sociale, dentro la propria gabbia di pece.

Ma, signori benpensanti, per cortesia, non lasciamo correre anche questo misfatto come cronaca del giorno prima. E il monito valga non solo per i “perbenisti”, borghesucci al calduccio nelle proprie tane, ma per tutti. E io, col sangue che mi pulsa nelle tempie perché mi immedesimo nella situazione di ogni ragazzo seviziato – come se fosse il “mio”, oso sentenziare che la pena – che auspico – è di privare queste anime nere, buttate via dentro un buco sottoterra dove ci stanno e non ci stanno, della luce del sole: rancio la mattina e la sera, fatto di brodaglia da schifo, una feritoia sul soffitto a far trapelare la tenebra.

La tenebra che alberga nelle loro anime. E – pace a Beccaria – nessuna pietà nessun conforto nessuna luce nessuna via “di fuga” nessuna pausa, nemmeno la passeggiata d’ordinanza. Sì, d’accordo, vedremo tutto alla condanna definitiva: ma subito dopo si esegua, per rispetto di chi giorno dopo giorno ne guida i passi, il braccio armato di chi è stato orbato anche della dignità di uomo: illico et immediate! Senza sconti né remissioni, ché nessuno di questi “figli di un dio minore” sarà risarcito: povere ma splendenti creature, orfane, a causa della malvagità di escrementi, del diritto di essere, e di esserci.

Giuseppe Fedeli – Avvocato, Giudice di Pace di Fermo

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