Europa quasi unita. Un patrimonio da non disperdere

di ALCEO LUCIDI –

RUBRICA “DRITTO E ROVESCIO”

È evidentemente un cruccio dello scrivente quello di parlare, quando può, di integrazione europea. Non per un vezzo, quanto perché come tanti studenti universitari anch’egli si è ritrovato catapultato nel più grande programma di scambio interculturale e scolastico di sempre: il progetto “Socrates-Erasmus”.

Si sa, la scuola è il primo fattore di resistenza alle derive nazionalistiche e ai particolarismi politici che, purtroppo, la nostra cara vecchia Europa sta risperimentando. Colpa della troppa burocrazia, dell’immobilismo decisionale di un potere concentrato su se stesso, del famoso asse di ferro tra Parigi e Berlino, che ha imposto una rigidità strutturale dei conti ed un’inflessibilità, spesso asfissiante, nel rispetto degli indicatori macroeconomici inseriti nei Trattati costitutivi dell’Unione Economico-monetaria, certo, anche se dietro queste logiche e giuste spiegazioni vi è tra gli europei un senso di sfiducia e disfattismo, in tempi di crisi, che finisce facile preda dei molti detrattori del sogno europeo. Ora, premesso che i Trattati, insomma le regole sovranazionali date, vanno rispettate, per far sì che il condominio Europa non diventi un formicaio (dati i suoi 27 residenti, o meglio 26, a quanto sembra, sulla base del recente voto di ratifica della Brexit da parte del Parlamento inglese solo di ieri), una politica economica restrittiva fatta di continui richiami e non rivista – penso – sulla base dell’attuale quadro congiunturale, in cui paesi come l’Italia, la Grecia, di nuovo l’Irlanda, fanno segnare tassi di crescita negativi del PIL, rischia di fare male all’Unione Europea e al suo stesso sogno. Un sogno – è il caso di dirlo – che riguarda il più grande mercato di beni e servizi al mondo (con oltre 300 milioni di persone), senza barriere e limitazioni, leggero perché poco regolamentato, in grado di rispondere, se solo non divenisse il pretesto per divisioni preconcette, alle nuove sfide della globalizzazione. Tale fenomeno, per vedere l’Europa protagonista, richiede più coesione tra le parti, delle riforme o programmazioni coraggiose (tuttora mancanti in senso comunitario) sotto il profilo fiscale, del welfare, della cultura, dell’emigrazione.

Le grandi sfide, insomma, vanno risolte assieme con spirito di aggregazione, come successo in passato, quando, prima ancora della fine Seconda Guerra Mondiale, nell’isola di Ventotene, due dissidenti antifascisti (Altiero Spinelli e Ernesto Rossi) stilarono uno dei testi fondanti della nuova Europa: il famoso Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita. Correva l’anno 1941. Seguirono il 18 aprile 1951 il Trattato CECA – istitutivo della Comunità Europea dell’Acciaio e del Carbone, primo embrione dell’Europa, firmato dai sei stati fondatori: Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi – e le grandi costruzioni giuridiche – i famosi Pilastri – sui cui poggia l’attuale assetto costituzionale della UE: Maastricht (1992), Amsterdam (1997), Lisbona (2009), che riprende il disegno di Costituzione Europea, redatto nel 2003 e poi abbandonato nel 2007 in quanto non rarificato all’unanimità dagli stati-membri.

Ma la via dell’unificazione europea, se solo si gratta sotto la coltre delle stratificazioni storiche, è irta di ostacoli, sin dalle prime guerre egemoniche nel Mediterraneo, oltre 700 anni prima di Cristo, quando ci si contendeva traffici, rotte, lembi di terra strategici. Oggi le rotte mediterranee sono quelle dei migliaia di disperati che fuggono da guerre, epidemie e persecuzioni in Africa e in Asia Minore, ma il dramma della mancanza di riconoscimento di un’Europa, che forse non ha imparato del tutto la lezione di secoli di guerre fratricide e che non vede nell’immigrazione, regolamentata e ripartita, un’opportunità di sviluppo (contro il calo demografico e la stessa crisi economica), sfruttando la disperazione degli ultimi ed avendo in passato contribuito ad alimentare l’arretratezza di quei popoli che ora gridano pane, democrazia, nuove opportunità di vita, resta intatta. Se si vede in tutto questo una minaccia per la nostra cara Europa si sbaglia di grosso e si perde irrimediabilmente il senso della lotta per la libertà contro i totalitarismi, della pace contro la guerra, dell’accoglienza contro la brutalità che ha guidato la cara vecchia Europa per oltre 50 anni. Non disperiamo questo patrimonio.

 

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