Il Tarpato di Grottammare, pittore libero e sognante

di AMERICO MARCONI –

Trovare un quadro, un piccolo quadro, al Mercatino delle Palme, acquistarlo e affidarsi al filo dei ricordi più cari è stato un tutt’uno. Conobbi Giacomo Pomili, detto Giacomì, ai primi anni di Università. Si aggirava per il paese di Grottammare con un vecchio motorino a ruote basse e un ampio cappello in testa. Erano tempi che subivo il fascino dei pittori locali e un giorno riuscii a conoscerlo. Nonostante stessi ai primi esami di Medicina, Giacomino mi chiamò fin da subito “Dottó”e continuò sempre a farlo. Negli anni m’invitò più volte a casa sua in Via Madonna degli Angeli a Grottammare alta. Sedevamo nel salotto dove c’era il suo cane bianco di nome Lupo, dapprima in vita poi imbalsamato, che ci guardava. I nostri erano brevi discorsi. Tutto orgoglioso mi mostrava i giornali che parlavano delle sue mostre che gli organizzava in Italia e all’estero l’amato fratello Gabriele. Per casa si aggirava laboriosa la sorella Anna e correva la nipotina Maria Rosa dai folti capelli rossi. Anche la mia tata si chiamava Rosa (nata nel 1926) ed era stata compagna di elementari di Giacomino (del 1925) fin da bambino taciturno e riservato. Qualcosa sapeva della sua vita: che era stato ferroviere e si ammalò di tubercolosi. Che durante il lungo ricovero aveva imparato a dipingere e continuò a farlo, una volta dimesso.

Le sue opere m’incantarono subito. Su tutto il modo spontaneo e privo di vincoli stilistici che aveva di dipingere. Col pennello in mano usava gesti ampi e decisi. L’ambiente preferito che ritraeva, nel suo stile libero e sognante, era il Paese Alto di Grottammare dove era nato e continuava a vivere. Si firmava “Il Tarpato” a dire: colui a cui la vita ha tagliato le ali ma nonostante tutto continua a volare attraverso la sua arte. Dopo la morte di Lupo, cane maltrattato e raccolto in fin di vita scelto a compagno ideale, lo raffigurò sempre nei suoi quadri. In un angolo del paese, su un’isola, sopra una barca. Ricordo un pomeriggio al tramonto, guardando il bianco Lupo, con gli occhi lucidi sussurrò: «Lupo mi aspetta, non so dove ma mi sta aspettando… un giorno staremo ancora insieme… Vero Dottó?!» E io, che avevo perso mia madre da poco, più commosso di lui: «Ne sono certo Giacomì, ne sono certo». Lo raggiunse infine, dopo un ultimo periodo vissuto da eremita, nel 1997.

Tutto questo può evocare un quadro, scovato tra cianfrusaglie e appeso in una cameretta sulla parete nord, a mo’ di piccola finestra aperta verso il Paese Alto. Luogo in cui il Comune di Grottammare ha aperto un Museo dedicato proprio a Giacomino, il Tarpato, con numerose opere molto significative. È meglio visitarlo in silenzio e provare a far emergere dai muri, dalle tele, dalle foto, emozioni, sogni, parole che altrimenti andrebbero perduti.

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