La letteratura di Paolo Cognetti e l’esplorazione interiore

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

«Fa’ che io sappia guardare e fa’ che trovi le parole per raccontare ciò che ho visto». Così scrive Paolo Cognetti in uno dei suoi ultimi libri, “Senza mai arrivare in cima – Viaggio in Himalaya”, edito da Einaudi. Cognetti non ha bisogno di presentazioni, tantomeno di una mia recensione. L’autore è soprattutto noto per “Le otto montagne”, libro che ha ottenuto il Premio Strega ed è stato tradotto in 40 paesi e dal quale è stato realizzato il film omonimo uscito da poco. Prendo spunto da “Senza mai arrivare in cima” e dalla frase citata per argomentare un aspetto del pensiero, quello dell’autore, che mi appare coerente con uno stile di vita e una visione filosofale dell’esistenza che sono vicine, talaltro, a quelle di Tiziano Terzani. Non a caso, è proprio di Terzani la citazione in epigrafe tratta dal suo “Un’idea di destino”. Cognetti, uomo di montagna per scelta e per vocazione, con alternanza di soggiorni newyorchesi e studi sulla letteratura americana, producendo documentari e inchieste, è intorno ai monti, quelli delle Alpi ma soprattutto in Nepal, che ha sviluppato la sua vena migliore di scrittore autentico e credibile: colui che ha occhi per guardare e sa trovare le parole per raccontare.

L’aspetto originale è che Cognetti non è uno scalatore in senso stretto. Certo, da montanaro – seppur non di nascita – in montagna sa salire, percorrendo sentieri e superando ostacoli anche oltre i cinquemila metri. Ma il pensiero guida non è la conquista di una cima, non è il superare se stesso misurando i propri limiti, anche se è inevitabile che comunque avvenga. Piuttosto è un andare senza fretta nell’altrui cultura, è l’attraversare i villaggi con empatia e curiosità verso i mondi che incontra, siano persone o animali, alberi o roccia, venti o torrenti. L’altitudine diventa un viatico, mentre l’antropologia buddhista è il colore delle cose. È un aspetto che mi affascina molto e che già, nel concetto, vedevo in Robert Pirsig quando affermava che “viaggiare è meglio che arrivare”. Quando sei arrivato hai terminato: è solo nel viaggio, metaforico o reale che sia, che si svolge la vita.

In ogni incontro c’è la conoscenza, in ogni “inciampo” l’occasione di approfondimento. Non è competizione bensì visione. Tuttavia non è neanche lasciare al caso, non è vagabondare. Il senso dell’avventura non è nell’improvvisazione ma nell’adeguamento alle situazioni. Nei suoi viaggi, Cognetti ha sia la meta che una rigorosa pianificazione perché un obiettivo è comunque necessario. A fare la differenza è qualcosa di diverso. È nella mancanza del bisogno di vittoria. È la differenza che c’è tra dover conquistare un traguardo e il semplice orientarsi ad esso. In fondo, trasponendo nella vita in generale, è lo stesso divario che esiste tra l’ambizione egoica e la visione di un insieme. Nel primo caso il motore è nella competizione e nel primeggiare. Conta arrivare prima, oltre che primo. Non si perde tempo a contemplare. Nel secondo, l’obiettivo è il faro che orienta il cammino ma quello che interessa davvero è tutto ciò che si incontra nel durante, sapendo che ogni dettaglio, ogni imprevisto, pur piccolo, rappresentano la sapienza del viaggio, e non si dà neanche per certo che si arriverà per davvero fin là.

È così, ad esempio, per molti di coloro che compiono il cammino di Santiago di Compostela. Sanno che la bellezza è in ogni passo condiviso, è nella casualità degli incontri. In fondo, a ben pensarci, è nel sorprenderci stanchi che l’album dei nostri ricordi diventa importante, che le idee prendono nuova luce. È nello svegliarci in un mondo diverso, inteso anche come metafora, che abbiamo nuova ispirazione e riusciamo a leggere le pagine dell’esistenza da un’altra prospettiva e cogliamo nuovi significati. E quando finalmente si giunge all’obiettivo prefissato, ci si accorge che quello, estrapolatoda tutto, è un momento a cui manca qualcosa. È solo il giro di boa. Riprendiamo le nostre cose e ripartiamo, che sia il tornare indietro o un nuovo percorso. In ogni caso, è sempre un nuovo inizio. È “Un altro giro di giostra” come direbbe Terzani. «Camminare era la nostra missione quotidiana, la nostra misura del tempo e dello spazio. Era il nostro modo di pensare, di stare insieme, di attraversare il giorno…» (Paolo Cognetti, Senza mai arrivare in cima – Viaggio in Himalaya).

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