Legni del mare, ricordi ed emozioni: da Padre Ruffinengo alle creazioni di Lina Lanciotti

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Legni del mare, quei resti di tronchi e rami che il mare raccoglie alla foce dei fiumi dopo un temporale e li porta con sé. Li accoglie e custodisce, li accarezza e li culla fino a quando, complice una mareggiata, non li restituisce alla spiaggia in una nuova veste. Nuove forme, inconsuete, delicate quanto inaspettate, nella dolcezza di una accurata espoliazione del superfluo: resta l’opera, levigata e austera. Certo, bisogna avere occhi che guardino con l’anima, occorre il “contatto”, una sintonia che sa di altro. Non è come quando visiti una mostra. Lì, anche se non te ne avvedi, non ti limiti ad osservare e studiare un dipinto, ma osservi l’osservatore. Con l’occhio interiore guardi te stesso mentre stai ammirando l’arte esposta,perché in fondo si è sempre alla ricerca di un perché e un senso. Una risposta. No, la riva e la foce dei fiumi richiedono altro.

Lo compresi anni fa quando Esterino Ruffinengo mi chiese di accompagnarlo in spiaggia. Era domenica, in un giorno caldo con il profumo di maggio. Ancora non sapevo si chiamasse Esterino perché per tutti era Padre Pier Paolo, dell’Ordine dei domenicani. Esperto biblista, appassionato di cultura classica e soprattutto studioso di filosofia. Era docente di metafisica Padre Pier Paolo, ma anche scrittore e poeta, con l’umiltà di chi serbava la memoria di una infanzia povera e dignitosa tra i filari delle vigne astigiane. Quel giorno, quella domenica, mi fece quella strana richiesta. In spiaggia, mi fermai allo chalet mentre lui, da solo, andò in riva al mare, con la sua elegante tonaca bianca che su di lui, alto e dall’aspetto imponente, sembrava davvero regale. Camminando tra coppie che recitavano l’innamoramento, lui sembrava innamorato sul serio ma in modo inconsueto.

Camminava guardando a terra, ogni tanto si fermava e si chinava. Una ventina di minuti dopo tornò verso di me, con un sorriso che non potrò dimenticare. Più si avvicinava, più il sorriso era pieno e solare. Aprì il palmo della mano Esterino, mostrandomi le conchiglie raccolte, con una luce negli occhi che vedevo solo allora, la luce della meraviglia fatta semplicità, con quello stupore che tutti dovremmo avere, che tutti abbiamo da qualche parte, a ricordarcene. Ecco, è quella la via da percorrere sulla battigia, dopo la mareggiata, per scoprire che non ci sono solo legni lavorati dall’acqua marina, ma anche piccole pietre, sassi colorati, frammenti di manufatti umani, talvolta di mosaici coloratissimi, come certi blu cobalto. Frammenti che hanno ascoltato voci e visto storie di vita, prima di finire travolti dall’acqua di un fiume nutrito per terminare il loro viaggio vicino ai nostri passi.

Immagino sia così anche per la cara amica Lina Lanciotti quando va in spiaggia, nei pressi dell’Esino. Immagino che sia accompagnata da quello stupore e dalla  meraviglia che non chiede ma osserva. Sento che è così, che passa del tempo in rispettoso silenzio, cercando la sintonia con ciò che raccoglierà portandolo a casa dove, senza la fretta di fare, cercherà il momento giusto per elaborare e realizzare le sue creazioni artistiche. Nascono cuori di frammenti, con pietrisco e conchiglie, e legni, gli immancabili legni. Cuori dai mille colori, con accostamenti pensati e giocati, con la grazia della sensibilità artistica nel clima di una liturgia particolare: lo stare a tu per tu con le cose semplici. Conosco quella liturgia, quella meditazione che porta a compimento non tanto un’idea quanto l’ispirazione, quel sentire un legame dandogli una voce, un’espressione.

Cuori, ma anche forme di coloratissimi pesci come i bellissimi cavallucci marini. Molto belli i mosaici, praticamente dei mandala. Chi vede la collezione di Lina resta stupito da come nulla sia casuale pur restando nella genuinità degli accostamenti. È piacevole constatare che anche l’oggetto apparentemente inutile, e povero, può trovare una collocazione, divenire parte di un insieme e che, nell’insieme, ha una sua forza, dando un senso estetico compiuto.Come una metafora semplice ed efficace della comunità umana che trova nuova dimensione, quando vi riesce, nella piena sintonia di chi ne fa parte. E come, infine, una metafora anche di se stessi: per quanta strada ognuno possa aver percorso, nel saliscendi della vita e delle ambizioni, ciò che resta è quel magico momento, compiaciuto, di soffermarsi a raccogliere, in riva al mare, la conchiglia che ci ha sorpreso, o il sasso levigato o quel legnetto dalle forme strane che ricorda un abbraccio silenzioso.

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