Intervista ad Annalisa Cuzzocrea: «”Che fine hanno fatto i bambini?”, un libro per dare voce agli ultimi»

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Che fine hanno fatto i bambini?” è la scritta comparsa sugli striscioni di alcune città durante i mesi del lockdown nel 2020, una sorta di rimprovero alla politica che scuole ma non di cosa questo comportasse per i bambini, che pensava all’economia e al lavoro e dava per scontato che i più piccoli dovessero subire la situazione senza manifestare problemi con i quali ora, invece, ci troviamo a fare i conti. Sono queste le premesse dell’inchiesta svolta da Annalisa Cuzzocrea, giornalista inviata del quotidiano Repubblica, e riprodotta nel libro intitolato, appunto, “Che fine hanno fatto i bambini” (ed. Piemme) presentato lunedì 5 luglio alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto nell’ambito della XV edizione degli “Incontri con l’autore” a cura di Mimmo Minuto e la libreria Libri ed Eventi. Per l’occasione, oltre ad aver partecipato all’interessante incontro, abbiamo intervistato Annalisa Cuzzocrea.

Da dove nasce la voglia di portare avanti un’inchiesta così complessa e delicata?
Ho voluto dare voce agli ultimi, ai dimenticati, ai piccoli a cui non pensiamo abbastanza. Ho incontrato educatori, psicoterapeuti, docenti, scrittori, ho voluto guardare da vicino i contesti in cui sono stati lasciati i più fragili. I figli sono al centro delle nostre vite, ma se non c’è la scuola per un bambino non c’è nulla intorno. Lo Stato non se ne interessa. All’inizio della pandemia le restrizioni maggiori le hanno subite loro. Gli adulti potevano uscire per lavoro, per fare la spesa, per andare ad accudire altre persone, per fare sport, invece i bambini non potevano uscire mai.

Abbiamo rinchiuso i più fragili, gli anziani nelle Rsa e i bambini a casa. Facciamo così a ogni nuova ondata di contagi. Ma cosa accade all’interno di quelle mura?
Ci sono case e case, non tutte sono grandi abbastanza, non tutte hanno balconi, non tutte hanno spazi adeguati. Ci sono quartieri, città, ma soprattutto ci sono sono famiglie e famiglie, genitori che ai figli possono dare tanto per formarsi, per crescere, per raggiungere un futuro migliore, ma ci sono anche genitori che possono dare poco. Racconto di situazioni difficili, bambini disabili, bambini costretti a vivere in carcere, in case di accoglienza, in contesti di degrado in cui chiudere le scuole ha portato all’abbandono scolastico e al tragico aumento delle violenze domestiche. Nel mio libro ci sono i “dimenticati” ed è per loro che dobbiamo combattere.

I bambini sono considerati un appendice dei genitori, specie della madre. È una questione culturale?
Assolutamente. Lo Stato tende a occuparsi di chi lavora, produce, vota, tende a dimenticare i fragili, chi ha più bisogno, ossia anziani e bambini. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare una società civile. Considera il figlio come un bagaglio dei suoi genitori e invece di occuparsi dei loro bisogni si limita a considerare quelli dei genitori. Quando progetta un asilo nido lo fa per permettere alla madre di andare a lavorare, mentre il nido in realtà potrebbe offrire al bambino più stimoli e più opportunità di quelle che avrebbe restando a casa.

Che cos’è che spinge oggi una coppia ad avere un figlio?
Stando ai dati ufficiali, nell’ultimo anno c’è stato un crollo delle nascite. Si fanno sempre meno figli, specie al sud, dove oltretutto sono meno le donne che lavorano, smentendo quindi il luogo comune che la minore natalità sia la conseguenza della scelta della donna di lavorare fuori casa. Un Paese che non fa figli è un Paese che non ha fiducia nel futuro. I nostri genitori non vivevano nel lusso ma avevano davanti a sé una prospettiva chiara, un lavoro stabile, erano capaci di progettare. L’esatto contrario di quello che accade oggi ai ragazzi di vent’anni. Se non hai fiducia fatichi a costruire un futuro con un figlio, tendi a rimandare il momento in cui lo metterai al mondo, e poi magari diventa tardi per fare un altro.

La politica non si occupa dei bambini perché non votano?
Questa è una provocazione che ho trattato in un capitolo. I bambini non sono considerati cittadini degli spazi che abitano. Non c’è investimento culturale sui bambini, sulla loro creatività, in generale non c’è la consapevolezza dell’importanza della formazione. L’Italia è agli ultimi posti in Europa per l’iscrizione universitaria, perché costa troppo e molte sono a numero chiuso. Ci sono licei a cui si può accedere solo previo test d’ingresso. L’accesso alla formazione deve essere più facile, libero, meno selettivo. Occorre dare l’opportunità a tutti di migliorarsi e di migliorare l’intera comunità.

Psicologi e terapeuti sottolineano la necessità di recuperare amore per i figli degli altri. Come si può recuperare oggi questo senso di comunità?
Un tempo c’erano famiglie “allargate” che si prendevano cura dei bambini e una madre aveva sempre qualcuno con cui condividere la cura del figlio. Adesso è più complicato, occuparsi di un figlio spesso diventa una corsa folle per i genitori ed è comunque considerato un problema loro, non dei bambini, che pure sono cittadini e, di conseguenza, un problema della società. I ragazzi che non hanno avuto un modo adeguato di vivere la loro adolescenza nell’ultimo anno e mezzo saranno gli adulti che tra 10/20 anni avranno il Paese sulle spalle. Dargli di più significa investire nel futuro di tutta  la società.

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