“Veleno” e gli abusi sui bambini, una storia vera. Purtroppo…

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Dopo stasera, dopo aver conosciuto questa storia tornerete a casa anche voi, come me, portandovi dentro qualcosa che sarà impossibile cancellare. Domani ci sveglieremo e la nostra mente sarà ancora lì, a pensarci. Non ce ne libereremo mai più. Questo capita quando si entra a contatto col veleno.» Esordisce così Pablo Trincia, il giornalista che insieme ad Alessia Rafanelli ha condotto l’inchiesta “Veleno” cercando i diretti protagonisti, esaminando migliaia di atti e documenti processuali, sbobinando ore e ore di registrazioni degli interrogatori. Un lavoro approfondito e meticoloso che ha indotto la magistratura a riaprire casi giudiziari risalenti a vent’anni fa, un’indagine sconvolgente confluita in un poadcast di sette puntate pubblicato da Repubblica, scaricato da centinaia di migliaia di persone e divenuto oggi un libro edito da Einaudi, presentato il 18 luglio al Quartiere Mare di San Benedetto del Tronto nell’ambito degli incontri con l’autore organizzati dall’associazione “I luoghi della scrittura”.

Tutto ha inizio nel 1993 a Massa Finalese, un paesino della bassa modenese, quando un bambino di tre anni viene allontanato dalla famiglia perché troppo povera e collocato dapprima in un centro di accoglienza, poi presso una famiglia affidataria. Qualche anno dopo, le condizioni della famiglia d’origine migliorano e il bambino, che adesso ha sette anni, riesce a vederla regolarmente tutte le settimane. Tutto sembrerebbe volgere per il meglio. E invece, improvvisamente, tutto precipita. Sollecitato dalla mamma affidataria prima, dalla psicologa poi, il piccolo racconta di aver subito terribili abusi dalla famiglia, da parenti, da vicini, persino dal prete. Coinvolge altri bambini, parla di violenze che venivano filmate, stupri di gruppo, decine di omicidi, rituali satanici nel cimitero del paese sia di giorno che di notte.

Uno dopo l’altro, sedici bambini tra i Comuni di Massa Finalese e Mirandola vengono prelevati dalle loro case (alcuni anche in piena notte), allontanati per sempre dai genitori, collocati nel medesimo centro di accoglienza e poi affidati a nuove famiglie. Uno dopo l’altro vengono periziati dalla medesima ginecologa, interrogati dalla stessa psicologa e col medesimo sistema. Uno dopo l’altro, vengono arrestati gli adulti. Un piccolo paese viene sconvolto da quello che sembra il più agghiacciante film dell’orrore. Ma davvero di film si tratta. La più incredibile suggestione di massa che il nostro Paese ricordi. Non c’è una perizia medica che certifichi un abuso. Non ci sono segni di violenza su nessuno dei minori. Non ci sono video, non ci sono i cadaveri. Non ci sono testimoni di queste quotidiane sfilate nel centro del paese di uomini incappucciati che avrebbero condotto i piccoli al cimitero. Ci sono invece vite devastate dall’accusa del più orribile dei crimini. Qualcuno degli arrestati si è suicidato, qualcuno è morto d’infarto, qualcun altro si è ammalato.

Nel frattempo che si svolgevano indagini e processi (la metà dei quali terminata con l’assoluzione), l’Unione dei Comuni nord di Modena si faceva carico delle spese per l’affido e le terapie psicologiche dei piccoli, versando complessivamente oltre quattro milioni di euro al “Centro aiuto per il bambino” aperto privatamente proprio dalla stessa psicologa che aveva interrogato i minori e dato il via alle denunce. E mentre la magistratura riapre quei casi giudiziari conclusi con la condanna, uno dei quali addirittura su richiesta di una delle presunte vittime che oggi sa di non esserlo mai stata, il pensiero corre all’inchiesta giudiziaria “Angeli e demoni” attualmente in corso a Bibbiano. Perché la situazione è molto simile, perché i soggetti coinvolti (psicologi, medici, centri di accoglienza) sono gli stessi, perché i metodi utilizzati sono identici.

Uno dei lati oscuri di questa terribile vicenda, però, è la strumentalizzazione politica a cui si assiste oggi. I bambini ancora una volta vengono presi e usati, in questo caso da una certa fazione politica contro quella avversaria e l’inchiesta giudiziaria viene usata come cavallo di battaglia dai partiti politici per meri scopi elettorali. Esattamente come le sue vittime, i bambini, sono stati usati tanti anni fa. Le responsabilità politiche a livello locale ci sono, è vero, ma non cadete nell’errore di pensare di risolvere le cose demonizzando questo o quell’altro partito. Pensate ai bambini, a quello che hanno subito, alla maniera in cui hanno deformato per sempre la loro percezione della realtà, alla estrema difficoltà di procedere alla “decontaminazione” da questo orribile veleno.

La questione è più profonda e radicata e va ricercata nel metodo utilizzato, nel sistema con cui si affronta la situazione di disagio di un bambino, nell’ideologia diffusa fra psicologi e professionisti anche di livello internazionale che il mondo sia pieno di mostri, che i pedofili siano talmente bravi a nascondersi che fanno sparire le prove e che sia impossibile manipolare l’interrogatorio di un bambino e indurre in lui falsi ricordi. Se non si affronta la vicenda in questi termini, di “Veleno” ce ne sarà ancora, da qualche altra parte, in presenza di qualsiasi altro colore politico.

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