Antonio Stano, i bulli e l’indifferenza che uccide

di ROSITA SPINOZZI –

È stata l’indifferenza, prima ancora delle percosse, ad aver ucciso Antonio Stano, il pensionato sessantaseienne di Manduria (Taranto), ex dipendente dell’Arsenale militare che soffriva di un disagio psichico ed era, pertanto, un uomo fragile e incapace di reagire alle ripetute violenze che da sempre gli venivano inflitte da una baby gang. Il motivo? Un passatempo, questa l’agghiacciante risposta dei 14 giovani (sei minori di 17 anni e due maggiorenni di 19 e 22 anni) sottoposti a fermo dalla Polizia. Giovani che hanno umiliato e percosso il povero Antonio fino a causargli la morte, il 23 aprile scorso, a seguito di una emorragia cerebrale. Bullizzato per anni, a nulla sono servite le grida disperate del pensionato e la “preghiera” di lasciarlo in pace, perché questi ragazzini dal cuore di pietra oltre a picchiarlo all’interno della sua umile dimora si sono divertiti a filmare l’orrenda scena condividendo tra di loro il video su whatsapp.

Ma l’aspetto più sconcertante risiede nel fatto che tutti, in paese, sapevano delle vessazioni subite da “lu paccio” (il pazzo) – così veniva impietosamente chiamato Antonio – ma nessuno gli dava peso più di tanto. A nulla sono valsi i due interventi chirurgici effettuati all’ospedale Giannuzzi per salvare la vita ad Antonio, era ridotto troppo male. I bulli questa volta non si erano limitati agli insulti e alle percosse, sono andati giù pesanti con bastonate e sevizie, tanto che una delle accuse formulate a loro carico, è quella di omicidio preterintenzionale in concorso. Ieri si sono svolti in forma privata i funerali di Antonio ai quali hanno partecipato soltanto i parenti più stretti, tra cui la sorella. Sensi di colpa? Nessuno dice di averne. Eppure tutti sapevano che l’uomo era stato preso di mira dalla baby gang che, per disprezzo e cattiveria, non si è limitata soltando ad atti vandalici nei confronti dell’abitazione di Antonio, ma anche ad aggressioni fisiche nei confronti di chi era infinitamente più debole di loro.

Il procuratore capo di Taranto, Carlo Maria Capristo, ha affermato al Tg1:«Antonio sarebbe ancora tra noi, se tutti quelli che sapevano avessero informato gli organi di polizia molto tempo prima». Ha perfettamente ragione. Ed ancora: «Quanti hanno partecipato saranno chiamati a rispondere e nei loro confronti chiederemo pene esemplari». Pertanto andiamo oltre la classica “frase di rito” che circola in paese riguardo “il normale contesto familiare di questi ragazzi e le amicizie sbagliate strette in un paese dove non ci sono alternative”. L’alternativa era forse uccidere un uomo fragile e indifeso? Antonio è morto solo e nel peggiore dei modi. E solo era anche nel giorno del suo funerale, perché non ha alcun valore la presenza di chi ha distolto lo sguardo da quanto gli stava accadendo. Antonio aveva bisogno di aiuto, non di indifferenza. E l’indifferenza lo ha ucciso. Le lacrime di coccodrillo e i pentimenti postumi di un paese ormai non servono più a niente. Un’ultima osservazione: Antonio veniva chiamato “il pazzo”, ma siamo sicuri che in paese il pazzo fosse proprio lui? Concedetemi il beneficio del dubbio.

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