L’anellone a nodi piceno, un oggetto pieno di fascino e mistero

Anelloni a nodi, Museo Archeologico di Ripatransone

di AMERICO MARCONI –

Piceni è il nome di popolazioni che vivevano in tribù autonome nel territorio compreso tra il fiume Foglia a nord, il fiume Pescara a sud e la catena appenninica verso ovest. Tribù che si confederavano in caso di pericolo, come fecero per contrastare i Galli e i Romani. Presero il loro nome da una primavera sacra (Ver Sacrum) molto probabilmente fu un gruppo di Sabini che migrò verso Ausculum seguendo il volo di un Picchio. Come dice Strabone: «Animale sacro al dio Marte che chiamavano picus da cui derivarono il loro nome di Picentini» poi denominati dai Romani Picentes. I Piceni svilupparono una fiorente civiltà nell’età del Ferro, dal 900 a.C. sino al 268 avanti Cristo. Furono prevalentemente coltivatori e allevatori. Ma anche commercianti che importavano materie prime, vasellame, armi, conchiglie cipree dal Mar Rosso, ambra dal Mar Baltico. Ed esportavano olio, olive, vino, farina da loro prodotti. Popolazioni di forti guerrieri: alcuni capi tribù divennero molto ricchi grazie agli aiuti militari portati ai popoli vicini, soprattutto agli Etruschi. Da cui appresero a scrivere, a forgiare armi, creare manufatti e modellare ceramiche di colore scuro.

Intorno al VI secolo avanti Cristo, all’apogeo della Civiltà Picena, nelle botteghe metallurgiche degli attuali paesi di Cupra Marittima, Grottammare, e Ripatransone furono realizzati oggetti rotondi in bronzo fuso ornati lungo la circonferenza con elementi detti nodi, che oscillano da 4 a 6. Trovati nelle necropoli di una superficie geografica compresa tra il fiume Tenna e il fiume Tronto. Oggetto denominato anellone a nodi piceno che può misurare tra gli 11 e i 25 cm di diametro e pesare dai 200 ai 2000 grammi. Quasi sempre rinvenuto in tombe femminili appoggiato nella zona pelvica.

Sul suo significato sono state formulate molteplici ipotesi. Qualcuno suggerì un uso monetale: più pesava l’anellone, più valeva. Tarquinio Coritano nel 1700 lo paragonò ad un crotalo, cioè a uno strumento musicale a percussione. Nello stesso secolo Paolo Maria Paciaudi intuì nella sua forma una corona per atleti vittoriosi. Per Guglielmo Allevi di Offida, nella seconda metà del 1800, è una fibula. Giuseppe Speranza di Grottammare, a fine del 1800, ci vide un attrezzo ginnico. Ad inizi novecento Innocenzo Dall’Osso condusse scavi sistematici e l’immaginò simbolo solare indossato dalle donne picene in determinate ricorrenze. I contemporanei Edvige Percossi Serenelli e Alessandro Naso lo considerano simbolo di femminilità e fertilità, magari usato in riti religiosi collegati alla dea Cupra.

L’anellone spesso è trovato spezzato, con soli due o tre nodi. Piuttosto che pensare ad incidenti di scavo e rimozione terra, in questo caso potrebbe essere un vero e proprio simbolo (da Symbollon = ciò che riunisce). Inteso come parte che dovrà ricongiungersi con la parte mancante, quando le due persone che lo possiedono s’incontreranno ancora. Non è esagerato definire l’anellone a nodi, chiamato dalle nostri parti armilla, il più grande e affascinante mistero della Civiltà Picena. Un mistero che in fondo coincide con quello della vita stessa.

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