I doni di Altidona. Racconto di viaggio

di ENRICA LOGGI –

Una passeggiata poetica in un paese carico di magia, alla scoperta dei suoi doni paesaggistici ed artistici

Altidona vive la sua antica storia nel Fermano, su un’altura dirimpetto al mare, nel lungo andare di una via maestra che l’attraversa e scandisce i viottoli che da essa si diramano e disegnano interni di case dalla lunga età, piazzuole che si sporgono a catturare il sole di primavera. Sembra che il tempo si sia fermato in un’era silenziosa dove la fine delle stagioni si disegna nel profilo arcuato delle soglie, delle porte medievali che accedono a un divenire costante della vita, vanno accendendosi e morendo nei colori delle case e dei belvedere, dove è rimasto a parlare un linguaggio sonoro e insieme silenzioso chi vi abita e chi, come me, ha percorso il paese  in lungo e in largo per cogliere il suo fiore.
C’è un profumo d’antico seminato dovunque e vivido sotto il sole mentre alte volano le nuvole e i tetti delle case raccolgono la luce che irrora le strette strade spargendosi sulle fioriture domestiche che contornano le case: piccoli vasi di geranio ed altre piante appoggiate umilmente sul ciglio delle strade, nei vani delle porte. Il volto di Altidona si arricchisce di edifici rimessi a nuovo, rispettosi dello stile antico, partendo dalla chiesa parrocchiale e muovendo lentamente negli slarghi, direi nei campielli che si aprono dolcemente sul panorama. In uno di essi si affaccia la statuina in bronzo di un elegante nudo femminile, vezzoso e meditativo, con in mano una conchiglia, firmato dallo scultore sambenedettese contemporaneo Francesco Lucidi, dentro la piccola piazza affacciata su un panorama che si disegna fastosamente e verdeggia folto dall’alto verso il mare, nella bella stagione.
Si va verso la chiesa parrocchiale dei Santi Maria e Ciriaco, edificata nel Medioevo e ristrutturata nel Settecento, percorrendo tutta la via centrale che sfocia in un’angusta piazzetta ad anfiteatro. L’interno reca una preziosa tavola ad olio del secolo 16°, opera del pittore monterubbianese Vincenzo Pagani, che raffigura la Madonna in trono con il Bambino ed angeli, l’Arcangelo Michele, San Matteo e il committente. La tavola vive di una policromia diffusa, le figure portano l’eco del Rinascimento nei volti e nei profili di elegante bellezza. Parlano, tutti i colori, di gioia celeste diffusa, di un insegnamento elevato della dottrina che le figure angeliche trasmettono nella beatitudine delle loro pose. Colpisce l’immagine di San Michele Arcangelo, inguainata in una bella armatura dai colori che spiccano, e volta di profilo verso il viso di San Matteo. Entrambi i personaggi  palpitano nell’adorazione della Vergine attorniata dal coro degli angeli osannanti. Il tutto vive nella perfezione di uno stile che non si smentisce, ma accarezza chi guarda trasmettendo la pace, e la vittoria sul male incarnata dall’Arcangelo dalle grandi ali luminose.
Degno di nota e sottostante la Pala è un polittico della fine del 14° secolo, raffigurante la Vergine in trono col Bambino tra i Santi Caterina d’Alessandria, Eleuterio, Ciriaco e Antonio abate, attribuito a Cristoforo Cortese. Le immagini questa volta sono immerse in un chiarore dorato, purtroppo usurate dal tempo ma portatrici di vicende ancora una volta policrome e meditanti.
Una statua lignea della Madonna della Misericordia appare sontuosamente da una nicchia, con le braccia aperte e il manto che copre dei pellegrini inginocchiati, vestiti di bianco per sventare la peste. La statua è del secolo 15° ma è carica degli influssi di un raffigurare più ingenuo, coronata dagli angeli dorati, statica nella posa solenne e insieme umile, di regina e madre, incoronata e vestita di rosso, nero il manto come un piccolo cielo, rifugio di anime devote. Dietro di lei una raggiera color d’oro completa tutta la sagoma e il suo caldo significare una maternità sorretta da una lignea fede.
Il paese ci lascia con il suo perimetro raccolto e i suoi panorami, un insieme di storia e attualità giostrate nei vari volti, nelle varie e insieme importanti vite con un’eleganza preziosa ed umile, come un segreto che lentamente si svela, nelle mani giunte di questo luogo, e torna in noi il desiderio di rivederlo, o di coltivare il suo ricordo.

Enrica Loggi

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