Intervista con Emanuele Cavallucci: «Il pugilato per me è la vita, combatto sempre con onore»

Foto di © Luigi Baronetti

di LORENZO PALLOTTA –

Il pugile ventinovenne, soprannominato “Il ghigno”, porterà per la prima volta un match per il titolo italiano professionistico a Chieti

CHIETI – Emanuele Cavallucci è un pugile professionista, nonché insegnate di pugilato. È nato e cresciuto a Chieti, dove si augura di restare per il resto della sua vita. Noto nell’ambiente pugilistico come “Il ghigno”, attualmente si allena presso la palestra “Tullio Di Giovanni Boxe”, seguito dal tecnico Davide di Meo. Cavallucci sarà il prossimo pretendente al titolo italiano dei pesi welter. L’incontro si terrà per la prima volta a Chieti tra novembre e dicembre di quest’anno. Il prossimo match che vedrà il ventinovenne Cavallucci impegnato si terrà, invece, il 29 maggio, sempre a Chieti. Ed è proprio fra i ragazzi, alle prese con gli allenamenti, che abbiamo incontrato il coach.  Ha un bel gruppo di allievi, richiama a sé anche quei ragazzi che si sentono persi, senza punti di riferimento e ispira molti giovani della sua città. «Sono partito da zero, non avevo un leader, un mito – afferma Cavallucci – Ho avorato tanto e tutto quello che ho l’ho ottenuto da solo. Per questo invito i ragazzi a non buttare le loro vite con futili passatempi».

Qual è il tuo percorso professionale?
La mia storia pugilistica è iniziata a 16 anni ed è stata fin da subito, dai dilettanti, promettente. C’era talento. Avrei potuto sbagliare strada, dipendeva tutto da me. Ho preso la strada giusta, sono riuscito a mantenere fede al mio sogno, sono stato dilettante per sette anni, con 64 match, ed ora sono un professionista già da cinque, con dieci incontri disputati.

Cos’hai vinto e cos’hai perso nella boxe e nella vita?
Su 64 incontri dilettantistici ne ho vinti 38 e ne ho pareggiati 8. Da professionista ho perso un solo match per un ko fortuito. È stato un brutto periodo. Prima di quell’incontro pensavo già di essere arrivato, di poter prendere tutto alla leggera, ma un avversario bello tosto mi ha rimesso con i piedi per terra mettendomi a sedere sul ring. Nella vita ho fatto quello che tutti i ragazzi fanno, anche se la voglia di combattere mi ha sempre frenato un po’ nei confronti di alcuni divertimenti. Mi sono allontanato da molte compagnie sbagliate perché, invece di uscire, stavo in palestra e sicuramente non mi pento di niente.

Cosa rappresenta per te il pugilato?
Il pugilato per me è la vita. In tutto ciò che mi capita nel quotidiano mi comporto come se fossi su un ring: “incasso” e “colpisco” anche con le persone che incontro tutti i giorni. Per me a tutto c’è una soluzione. Tutte le situazioni, anche le più complicate, hanno un punto debole.

Quali sono le sensazioni che provi quando stai per salire sul ring?
Prima di salire sul ring provo un misto di ansia e impazienza. Non vedo l’ora, perché la mia vita, in fin dei conti, gira tutta intorno a quello. Là sopra si vede se il mio lavoro è stato fatto bene o è stato fatto male. Lì avviene un costante esame di me stesso.

I tuoi genitori ti hanno incoraggiato oppure hanno ostacolato la tua passione?
I miei genitori sono stati contrari all’inizio, non mi hanno appoggiato, mi hanno chiesto più volte di smettere, pur sempre lasciandomi la libertà di scegliere. Poi con il tempo hanno visto che ero bravo, e hanno iniziato a credere sempre di più in me, fino a quando sono diventato motivo d’orgoglio anche per loro.

Qual è il motivo che ti ha spinto ad insegnare la boxe?
La boxe è stata il mio primo amore. Ho iniziato ad insegnare per far capire alle persone quanto il pugilato possa aiutarli nella vita di tutti i giorni, al di là del fatto che si possa o meno diventare un campione. Ho iniziato ad insegnare per trasmettere l’amore che provo per il pugilato.

In cosa consiste il percorso che proponi ai tuoi allievi?
Con il mio percorso intendo insegnare loro il rispetto, l’educazione e il senso del sacrificio. Dato che nelle ultime generazioni questi valori sono stati, a parer mio, molto trascurati.

Quali sono stati i sacrifici che hai fatto per arrivare a contendere il titolo professionistico italiano?
I sacrifici sono stati tantissimi. Svegliarsi alle sei e mezza per correre e poi andare a lavorare, ad esempio. Le diete ferree. Fare il buttafuori la notte per arrotondare. Tutto questo mi ha portato ad un passo dal match per il titolo italiano professionistico. Un titolo che a Chieti non si è mai disputato.

Qual è la tua filosofia di vita?
“Combatti sempre con onore per la gloria, finché non arriva la morte”. Ce l’ho anche tatuata addosso. Quando ho subito sconfitte ho sempre avuto la forza di rialzarmi ed è questa la mia forza.

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