di ENRICA LOGGI –
I dipinti onirici e visionari di Nicola Caredda esposti alla Galleria Marconi: un’esperienza estetica da non perdere, dove passato, presente e futuro si rincorrono sulle tele e nella nostra coscienza. La mostra è visitabile fino al 12 maggio
Il paesaggio, in Nicola Caredda, esiste e resiste in un’antica franchezza, testimone surreale di una vita fertile ma irrimediabilmente trascorsa. Custodisce, accogliendole, le sembianze di un mondo che aveva già vissuto, e che una nuova, quasi ultima Era riflette nella forma di visioni superstiti d’insieme. Dovunque, fitte, albergano le parvenze di questa civiltà passata, disegnate con estrema precisione sulla pelle della tela che trema per una immanente e imminente esistenza dentro un’atmosfera dove il tragico ci presenta il suo aspetto nudo avviandoci a una contemplazione plurima.
I colori intensissimi evocano forme che si narrano attraverso l’evocazione di oggetti rimasti a bivaccare dentro una forte ironia, dentro difficili ed esuli chiarezze. Cielo e mare invadono una delle tele e nei colori volutamente esagerati portano un messaggio di vita intensa, che resuscita risposte (answer, appunto), visioni di un mondo che si mostra alla nostra attenzione con un’ingenuità voluta e dichiaratamente puerile, lasciando a noi la conclusione del suo intenso, iperbolico racconto.
Le presenze evocate da colori inebrianti riflettono un’estrema nostalgia di epoche in rovina, ma eroicamente sottoposte a un’indagine scrupolosa e tragicomica, nelle vesti di un racconto che echeggia la pop-art, dove l’estrema serietà confina con una faceta ansia di cose sopravvissute, di fantasmi molteplici che narrano il vivo vibrare delle cose, vive o morte.
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