Quanto sono bello! Il selfie di Narciso

Narciso di Caravaggio

di AMERICO MARCONI –

La storia inizia due anni fa, quando sei ragazzi indiani vennero ricoverati d’urgenza in ospedale perché mostravano gravi sintomi psichici causati dall’uso compulsivo del cellulare. Fu allora che un gruppo di ricercatori della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management a Madurai, in India, iniziò uno studio secondo parametri scientifici su 400 soggetti. Lavoro che è stato pubblicato sulla rivista International Journal of Mental and Addiction in cui si conclude che l’ossessione degli autoscatti con lo smartphone potrebbe essere riconosciuta come una vera e propria malattia. Lo studio pubblicato ha messo a punto una scala utile per valutare il livello della patologia definita “selfite”.

La selfite ha tre gradi: borderline, acuta e cronica. La selfite bordeline si verifica quando una persona si scatta foto almeno tre volte al giorno, anche se poi non le pubblica sui social media. Nella forma acuta, la più diffusa nel gruppo osservato, si fa almeno tre selfie al giorno e li pubblica online. Soffrire di selfite cronica significa avere un bisogno incontrollabile di scattare foto di se stessi in ogni momento, pubblicandole sui social più di sei volte al giorno.

E pensare che la selfite sul web era nata come una bufala. Nel 2014 si era diffusa la notizia che l’American Psychiatric Association l’avesse inserita tra le malattie riconosciute. La notizia si era diffusa in modo virale sul web, tanto da costringere l’autorevole Associazione a dedicare una pagina in cui si affermava che la selfite non esisteva. “Invece” spiega Mark Griffiths uno degli autori della nuova pubblicazione “Questa ricerca ha reso valido il concetto di selfite e fornisce dati di riferimento per altri ricercatori per indagare il concetto in modo più approfondito e in diversi contesti.”

Amare la propria bellezza in maniera esagerata ci riporta al mito del bellissimo Narciso. Tutti s’innamoravano del giovane trovando indifferenza da parte sua che preferiva andare a caccia. La giovane Eco si uccise dopo essere stata respinta e di lei rimase solo l’eco. Nemesi, la vendetta, rifiutata anche lei, fece innamorare Narciso della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d’acqua, finché non vi affogò dentro.

Ma quando si rischia di ridursi in fluido come accadde a Narciso? La risposta sta nella ricerca che, per capire se si è dipendenti dai selfie, ha creato un questionario di autovalutazione. Si è soggetti a rischio se dopo un selfie si sta meglio, se aumenta l’autostima, se fa sentire più popolare, se migliora il proprio umore all’istante. La selfite colpisce chi posta spesso con l’obiettivo di ottenere like o modifica le foto per apparire migliore degli altri.

L’avvertimento è chiaro: bisogna rimanere saldamente davanti allo specchio (o allo smartphone)  per restare se stessi. Trasferirsi dall’altra parte significherebbe diventare il riflesso degli altri,dis-perdendo la propria identità in una realtà virtuale, appagante ma sganciata dal mondo reale.

Americo Marconi