di PATRIZIO PACI –

I canti natalizi americani hanno preso il sopravvento sulle nostre antiche tradizioni, facendoci perdere l’identità culturale. Ecco un viaggio indietro nel tempo alla scoperta delle origini dei canti popolari, che “resistono” soprattutto in Abruzzo e Trentino

Nel paese di Petriolo (Macerata), in un suggestivo contesto naturale e culturale, vive, tra il 24 gennaio 1892 ed il 17 ottobre 1973, Giovanni Ginobili, musicista per diletto, autore di musica sacra ed operette, maestro elementare, un letterato con la sensibilità del poeta, appassionato studioso del dialetto e delle tradizioni popolari maceratesi e marchigiane. Dopo un periodo trascorso in Romania, dove subisce l’influenza dei grandi ricercatori – etnomusicologi dell’Europa Orientale, mette in opera tra gli anni ‘40 e ’50, il lavoro di ricerca dei canti popolari maceratesi e piceni, trascrivendo le fonti direttamente sul pentagramma. Nelle sue raccolte, circa 300 canti, troviamo nenie, filastrocche e serenate, alcune inserite nella “Rapsodia Picena”, una raffinata composizione per pianoforte, composta nel 1955 dal suo amico e collaboratore Lino Liviabella, il grande compositore maceratese, allievo di Ottorino Respighi. Nella rapsodia, spicca una  melodia natalizia trovata nelle campagne di San Severino Marche, quel Natu Natu Nazzarè, che dona al Coro della  SAT di Trento, durante il suo periodo di permanenza a Bolzano, quale membro della giuria nel Concorso “F. Busoni”. Un canto popolare natalizio marchigiano viene restituito al popolo dal coro più famoso e fa il giro del mondo con l’incisione della casa discografica Odeon Carish negli anni ‘50 e successivamente della RCA negli anni ‘80. La strofa è in forma di pastorale, mentre nel ritornello viene evidenziato il tema melodico del saltarello marchigiano. La spontaneità dei settempedani si rifà alla forma pastorale, solitamente cantata durante la Santa Messa nella notte di Natale, rievocando così la magica atmosfera della Capanna Sanda: lo voe, l’asinè, Maria la virginella, che sta sotto la capannella. Ma vuole soprattutto sottolineare che Ndo che ci sta Gisù se sona e se canda, dove c’è Gesù si suona, si canta, insomma si fa festa. E allora quale migliore scelta se non quella del Saltarello, la danza che da sempre accompagna le feste popolari marchigiane. Ogni regione italiana ha i suoi canti popolari natalizi, espressi nel proprio dialetto, brani di cui non conosciamo l’origine e l’autore. Nel 1100 d.C. dopo lo strapotere della Chiesa che, per tutto il Medio Evo, aveva bandito ogni forma profana, a vantaggio del Canto Gregoriano, monodico, a cappella ed in lingua latina e che si era apprestato, già in epoca carolingia, alle prime forme di polifonia, nate nei monasteri benedettini e poi diffuse in tutta Europa, l’avvento dei comuni e delle signorie permise l’esecuzione nelle pubbliche piazze di quei cantastorie e menestrelli, provenienti dalla Francia, denominati Trovatori e Trovieri che, nella propria lingua d’origine, cantavano le storie d’amore e di guerra,  accompagnati dagli strumenti dell’epoca. San Francesco d’Assisi che, con la regola, nel 1209, aveva ottenuto da Papa Innocenzo III l’autorizzazione a pregare e cantare, nelle confraternite, fuori dalla liturgia, in lingua volgare, pensò di usare questa nuova forma profana, molto popolare all’epoca, per creare insieme a Frà Pacifico da Lisciano (frazione di Ascoli Piceno) la Lauda “Il Cantico delle creature”, considerata la prima opera della letteratura italiana. Molte sono le laudi dedicate da San Francesco al Santo Natale e che nel tempo hanno ispirato, nelle varie regioni italiane, canti popolari natalizi di tramandazione orale. Ne abbiamo in Italia un grande patrimonio non quantificabile, di estrema bellezza e semplicità. Nelle Marche si cantava anche “Ad’è natu lu Vambinè”, se no nasce nascerà la viglilia de Natà; in Piemonte la “Nenia di Gesù Bambino”, dove il Bambinello si diverte a giocare con la barbetta di San Giuseppe, in Emilia Romagna tutti i pastori accorrono “Alla grotta”, mentre in Trentino è molto conosciuto “Oggi è nato in una stalla”, la pareva nà bella sala preparata già per quel. A Napoli Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, prendendo spunto da vecchi canti popolari come “Quanno nascette Ninno”, scrisse “Fermarono i cieli” e “Tu scendi dalle stelle”, il canto natalizio più diffuso in Italia. Purtoppo a scuola bisogna costatarne la completa ignoranza da parte delle nuove generazioni, martellate dai media con i canti natalizi americani che hanno letteralmente invaso le nostre case, distruggendo le nostre antiche tradizioni, facendoci perdere la nostra identità culturale. Per fortuna ci sono ancora luoghi, dove le tradizioni sono forti e resistono nel tempo, come il Trentino, dove ogni coro riscalda la fredda atmosfera invernale o la Marsia in Abruzzo, dove sotto il Monte Velino è ancora possibile ascoltare il suono di una zampogna.