Nori de’ Nobili, la pittrice del colore muto

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Il talento di una persona non sempre rende la vita semplice. Se da un lato, dare ascolto alla propria “ghianda”, per usare un termine caro al saggista e psicanalista statunitense James Hillman, nel suo “Il codice dell’anima”, è fondamentale ed esistenzialmente necessario, dall’altro è anche vero che quell’ascolto, e quindi il seguire la via della propria espressione e liberazione interiore, può risultare complesso e talvolta distruttivo se si hanno delle fragilità non bilanciate da sostegni empatici ed affettivi. È il caso di Eleonora de’ Nobili Augusti, nota come Nori de’ Nobili, nata a Pesaro nel dicembre del 1902. Forse è poco conosciuta dal grande pubblico, ma merita una degna considerazione. E sono pochi, presumo, che conoscono Ripe, un bel paese collinare in provincia di Ancona. Ripe conta circa 4.400 abitanti ed è il luogo dove la pittrice ha vissuto nell’infanzia, in una magnifica villa settecentesca. L’abitato oggi ospita un museo a lei dedicato, con circa settanta opere. Dal 2014, Ripe, che inizialmente era un comune autonomo, è confluito in Trecastelli, insieme ad altri due ex comuni.

Nori, grazie alla famiglia agiata e in vista – il padre era un ufficiale, la mamma una nobildonna – aveva potuto studiare e dedicarsi all’arte fin da ragazza. Quando i genitori lasciano le Marche per la capitale, lei li segue per completare gli studi artistici. Dopo quattro anni può fare un ulteriore salto di qualità andando a Firenze, insieme alla famiglia d’origine, e frequentare lo studio di Ludovico Tommasi, noto pittore macchiaiolo, di riferimento in quel periodo nella città toscana. Nori resta ammaliata da quei contrasti di ombre e luce direttamente “giocati” sulla tela, con immediatezza, senso del mestiere e fascinazione per la verità dell’istante, immortalato nella sua essenzialità. È un’impronta pittorica che, in qualche modo, resterà in lei anche poi, pur non fermandosi lì. La sua tecnica sarà sempre più personale, continuando a far sua la facilità di dipingere con immediatezza, “bloccando” l’istante emotivo, come si può vedere nei suoi sofferti autoritratti che riflettono l’ansia e il malessere esistenziale.

Firenze è il suo ambiente, si inserisce bene nel mondo culturale e intellettuale. Ma intorno a lei nulla è semplice, a partire dai contrasti con la famiglia. La de’ Nobili soffre molto, iniziando a star male proprio quando la sua arte incomincia a farsi conoscere. Non sono tempi facili per una donna. Non lo sono mai stati, e lei è stretta tra un bisogno di liberazione e le convenzioni del suo tempo e della propria famiglia. Occorre una forte personalità per resistere ai pregiudizi, soprattutto quelli di genere sessista. Nori è sensibile e fragile, aspetti che non proteggono dall’oscurantismo e dalla banalità dei giudizi che, proprio perché superficiali e stereotipati, diventano opprimenti. E così, l’artista scivola gradualmente in disturbi psichici dai quali non si riprenderà più, e che si aggravano dopo la morte del fratello Alberto, l’unico che l’aveva compresa.

La pittrice ha trentatré anni. Oggi sarebbe più facile curarsi, probabilmente. Sarebbe sicuramente più semplice essere accettati, ma in quegli anni la soluzione adottata dal servizio sanitario, con il consenso della famiglia, è drastico quanto assurdo: viene “ospitata” in manicomio a Modena dove ci rimane per il tempo della sua vita: in tutto trentatré anni. Sono strani i numeri. Davvero strani, e probabilmente un esperto cabalistico potrebbe vederci un nesso in quei numeri che si ripetono. Ma a noi interessa l’arte della sfortunata Nori e abbiamo la consapevolezza che questa seconda e terribile fase della sua vita sia quella che contraddistingue maggiormente la sua produzione artistica. A Modena, in quei trentatré anni, produce centinaia e centinaia di opere (se ne contano oltre mille), con tratti più espressionistici e cupi rispetto al periodo toscano, ma anche poesie e in particolare va annotata la sua autobiografia, realizzata in versi.

Nori è sola, e la solitudine, quando si è in condizioni di fragilità, può condurre ad ulteriore dissonanza con la vita e con se stessi. E questo si vede nei suoi dipinti, in particolare negli autoritratti, un tema pittorico ricorrente. Il volto è in primo piano, con sfondi essenziali o con altri visi che sembrano sospesi come maschere in secondo piano. Lo sguardo è fisso e attonito, senza espressione. La bocca chiusa e spenta, senza alcun cenno di sorriso. Il mondo finisce nel riquadro della tela. La cornice è il suo confine. Invalicabile, come le mura dove vive. Oggi, il Museo Nori de’ Nobili è anche “Centro Studi sulla Donna nelle Arti Visive Contemporanee”. Ospita mostre, eventi tematici e laboratori didattici. Si propone di essere interattivo con il territorio ed attento all’universo femminile. Le mostre ospitate e gli argomenti considerati lo dimostrano, con coerenza. Tutto questo sarebbe piaciuto a Nori. Il suo mondo di dolore, la sua solitudine, sembrano stemperarsi tra le pareti e le stanze del museo, come in una accoglienza postuma, un ritorno a casa, a tempi più sereni.

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