FaceApp e sei d’un balzo alla terza età

di GIUSEPPE FEDELI –

Impazza la nuova app che consente di vedersi invecchiati: il tormentone dell’estate finalmente è arrivato. E tutti a tentare le maniglie del futuro; ovvero il “come saremo” tra qualche anno, se non qualche decennio. Ora, la cosa potrebbe essere anche simpatica, un giochino innocente per trascorrere le interminabili ore sotto l’ombrellone o ammazzare la noia di vivere. Appunto: ammazzare la noia di vivere. É  questo il centro della questione. Il gioco – che  è una “sottile” disputa – in sé non ha nulla di male, ma è specchio di quella thanatolatria (o cultura della morte) strisciante, che da tempo la fa da padrona in un panorama deserto di valori e idee. Oggi i ragazzi non costruiscono più un desiderio, perché esso è lì a portata di mano, tramite (e soprattutto complici) queste diavolerie elettroniche: che tuttavia, appena creano, “dissolvono” il virtuale.

Tutto governa la “mente convergente”, come dice il filosofo Galimberti, quel sistema binario  on/off, sì/no, il duale vero/falso che ci riporta alla preistoria, senza più dare spazio a fantasie, proiezioni di desideri, pro-gettualitá nel senso strettamente etimologico del termine: così risolvendosi in un hortus conclusus, in cui l’asticella si abbassa o si alza a seconda del livello mentale dell’utente. Quindi, il giochino dell’invecchiare – del vedersi invecchiati – nel quale è tutto un autocompiacimento morboso, se da una parte non nuoce a nessuno, dall’altra è la spia della assenza di valori e idee, della attitudine a quel cupio dissolvi (antipaolino) nel quale sempre più  sprofonda il vacuum dell’essere.

I giovani – ma non escludiamo i diversamente giovani – si affacciano su questo abisso del non senso attimo dopo attimo, e sono sempre più soli nella loro solitudine autistica. Quindi “invecchiamo” pure il soggetto da ritrarre, ma  stiamo bene attenti a cosa c’è sotto questa perversione, al senso di di-versione dal tracciato: perché oggi la smania di saltare le tappe è arrivata a questo, con il risultato di una immedicabile desertitudine dell’anima, scriverebbe il grande Borgna: una smania che, ahinoi, può schiudere scenari ben più inquietanti.

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