La trebbiatura e il grano, tra foto di famiglia

di AMERICO MARCONI –

Nonno Pacifico, il padre di mia madre, fu contadino della famiglia Ascolani. La casa dove abitava, anche se restaurata, ancora c’è; vicina alla Piazza Carducci proprio nella zona Ascolani di Grottammare. Erano tempi quelli in cui il contadino andava a trovare il padrone (lu patro’) con il cappello in testa perché se lo toglieva, come atto di deferenza, davanti a lui. Dopo la prima guerra mondiale, dalla quale il nonno tornò decorato, fu carabiniere. Poi sposò l’energica Lucia (nonna Ciola) che portò nella sua consistente dote un grande terreno ad Appignano. Oltre ad acquistare insieme un bel pezzo di terra a Porto d’Ascoli.

A luglio la trebbiatura (lu trebbia’) era l’evento più emozionante, almeno per me che avevo intorno ai dieci anni. Erano giorni caratterizzati da un grande lavoro da parte dei mezzadri del terreno che, con l’ampio aiuto di quelli circostanti, avevano prima mietuto. E in una giornata caldissima e polverosa la rumorosa trebbia, collegata con una lunga cinghia al trattore, divideva il grano dalla paglia. Alcuni riempivano i sacchi coi chicchi, altri disponevano con maestria la paglia intorno ad un palo in un mucchio largo in basso e stretto in alto. Tutto sotto l’occhio esperto e vigile di nonno. Ma ciò che più mi faceva effetto era sentirlo chiamare tante volte: “Patro’Pacì”. Pensando che lui per oltre cinquantanni ci aveva chiamato i componenti della famiglia Ascolani, con cui rimanemmo sempre in ottimi rapporti.

L’aspetto festoso della trebbiatura consisteva nell’abbondante bere e mangiare. Fino al pranzo di mezzogiorno che era un capolavoro di cucina domestica. Io stavo vicino a nonno e per me c’erano i bocconi più teneri. Donne vigorose, sbracciate e simpatiche, servivano a tavola. Dopo il formaggio e prosciutto, le olive, serviti col pane fatto in casa; arrivavano le tagliatelle col sugo, la papera in umido, il pollo arrosto con le patate. Infine le ciambelle, la torta con l’alchermes, il vino cotto. Ricordo che puntuale, dopo tutto quel ben di Dio, avevo voglia di riposare. E nonno Pacì mi indicava un posto fresco. Venendomi a svegliare dopo un paio d’ore o avrei dormito fino al giorno dopo.

All’avvicinarsi delle ombre notturne il ritmo lavorativo cresceva. I sacchi di grano venivano contati e riposti in cantina; al mucchio della paglia (lu paiaro’), con lunghe scale, andavano fatti gli ultimi ritocchi sulla punta. Distrutti dalla stanchezza i lavoranti facevano un’ultima bevuta dandosi appuntamento al terreno vicino. Ancora ricordo qualche ritornello rivolto da parte di giovani uomini a giovani donne osservate durante il giorno, tra il sudore e la polvere che bruciava gli occhi: “Fiore d’ornella,/ l’occhi te ride’ la bocca te parla/ tu pe famme morì sei nata bella.”

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