Daniele Nardi, il ragazzo che ha sfidato i ghiacciai

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

Si era innamorato della montagna da ragazzino durante una vacanza con i genitori. Passeggiavano lungo un sentiero e lui si domandava perché continuare ad andare in senso orizzontale, quando lo si potrebbe fare in verticale? Aveva solo sedici anni quando ha compiuto la sua prima arrampicata, munito di una corda per imbarcazioni, su per i monti Lepini. Uno spirito libero e passionale, un visionario coraggioso che non puoi imbrigliare dentro uno schema di vita ordinario, una laurea in Ingegneria, una famiglia tradizionale, una vita senza avventura. Per Daniele Nardi l’alpinismo era allo stesso tempo un atto fisico e mentale. Vivere la montagna voleva dire confrontarsi con l’ignoto, mettere in gioco corpo e anima e trovare nella sfida al limite la vera essenza di se stesso. Ha scalato l’Everest, il K2, ha raggiunto la vetta di ben cinque “Ottomila”, ha aperto nuove vie di scalata in Pakistan, ha realizzato la spedizione Share Everest posizionando la stazione di monitoraggio più alta del mondo per inviare dati in tempo reale sul cima alla comunità scientifica internazionale. Ha sostenuto progetti di solidarietà in Nepal e Pakistan e la campagna mondiale Gioventù per i diritti umani. La vetta del Nanga Parbat era il suo ultimo obiettivo. Ci aveva già provato altre volte, ci era andato molto vicino nel 2014, ed era nuovamente partito insieme a Tom Ballard a dicembre, consapevole di aver scelto la via più rapida ma anche più difficile e ricca di insidie.

Chi di noi da bambino non sognava di riuscire a fare qualcosa nella vita che nessun altro era in grado di fare? Poi crescendo abbiamo fatto finta di dimenticarcene e ci siamo costruiti un’esistenza meno avventurosa e più comune. Lui invece non ha mai smesso di puntare all’impossibile. Daniele Nardi va ricordato così, come un ragazzo appassionato che è morto facendo ciò che più amava al mondo. A quanti gli rimproverano di aver anteposto la passione per l’alpinismo estremo a moglie e figlio, rispondo che la vita è fatta di imprevisti, che la morte può coglierti anche mentre sei comodamente seduto nel salotto di casa, e amare un uomo come lui vuol dire vivere nella consapevolezza che ogni scalata può rappresentare l’ultima. «Se non dovessi tornare» ha dichiarato prima di partire «il messaggio che voglio arrivi a mio figlio sarà Non fermarti. Non arrenderti.»

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