“Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare, la serie al top di Netflix

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

“Strappare lungo i bordi”: è la prima serie animata di Netflix e la più vista, scritta e diretta da Zerocalcare, alias Michele Rech, fumettista capace meglio di chiunque altro di raccontare, attraverso il flusso di coscienza del protagonista, utilizzando toni e registri diversi eppure complementari, la crisi identitaria di un’intera generazione. Al centro della trama, un viaggio in treno da Roma a Biella (non posso spoilerare il motivo) denso di riflessioni ad alta voce, flashback, aneddoti. Un percorso ferroviario che Zero affronta con Sarah e Secco, gli amici di sempre, quelli che condividono con lui la vita di periferia, le fragilità, le turbe adolescenziali, le illusioni, i fallimenti, sospesi tra aspettative e “accolli”. Perché è dai tempi degli antichi Greci che l’uomo si domanda se è meglio conoscere l’ignoto con il rischio che sia un accollo o rimanere nell’ignoranza dove perlomeno nessuno ti chiede nulla, e “se questo nodo non l’hanno sciolto i Greci che erano dei gran secchioni non è che lo posso sciogliere io che sono uscito da scuola vent’anni fa.”

Il linguaggio è quello solito di Zerocalcare, intriso di umorismo, diretto, senza filtri, con molte parolacce. Il punto di vista è maschile, ma niente frasi o considerazioni sessiste. Il ritmo dei monologhi è pazzesco. E poi c’è la musica, tanta musica. Una colonna sonora che spazia da Billy Idol a Tiziano Ferro, da Band of horses a Manu Chao passando per Ron, pezzi punk, pop e rap, canzoni adulte che fanno da collante tra linguaggio e contenuti e aiutano a comprendere meglio il senso di ciò che si sta guardando. Zerocalcare doppia tutti i protagonisti, unica eccezione l’Armadillo, la sua coscienza, a cui presta la voce Valerio Mastrandrea.

Un viaggio che è un pretesto narrativo per sviscerare il desiderio di crescere e trovare un posto nel mondo, “strappare lungo i bordi” la linea tratteggiata di ciò a cui siamo destinati, quella linea che segna il confine tra adolescenza ed età adulta. Una serie destinata a un pubblico trasversale, perché la precarietà dell’esistenza è qualcosa che riguarda tanto la generazione presente quanto quella passata, mia e di Zero. Sei episodi da venti minuti ciascuno che si guardano tutto d’un fiato. Da non perdere.

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