La recensione – “Mille scarpe da lucidare”, una finestra sul passato di Deborah Rossi

di STEFANIA PASQUALI –

Deborah Rossi nasce a Napoli 12 giugno 1968. Per motivi familiari nel 1972 vive in Molise con la nonna Carmela e nel 1973 entra nell’Istituto che l’accoglierà per lunghi anni. Il suo talento sboccia nella terra della nonna Carmela che, inconsapevolmente, ha piantato in Deborah il seme benedetto dell’amore per la lettura. Racconta: «Mia nonna, cieca ad un occhio, mi insegnò a leggere sulle insegne dei negozi di Campobasso, facendomi così appassionare alla lettura di ogni genere». Queste assidue letture l’hanno portata in seguito a saper scrivere, regalando al lettore racconti davvero toccanti. La scopre Massimo Gramellini al quale invia un suo racconto. La incoraggia a scrivere e nel 2016 pubblica il suo primo libro che il giornalista Pino Scaccia presenterà in una serata d’incontro con l’autore a Pozzuoli. “Mille scarpe da lucidare” è stato presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino ed è reperibile in tutte le librerie italiane. In cantiere nuove prossime pubblicazioni.

Nel libro “Mille scarpe da lucidare”, Deborah Rossi si racconta in forma autobiografica e senza sconti, attraversando vari temi, uno in modo particolare: il dolore. Un sentimento con cui ciascuno di noi ha fatto esperienza e che è unico, senza possibilità di delega. La figura di nonna Carmela, in particolare, è connessa al senso di una fine, a qualcosa che si interrompe definitivamente come l’immagine della valigia di cartone della piccola Deborah lasciata in mezzo al cortile del Collegio che l’accoglierà per lunghi anni. Che si tratti dell’esistenza di una persona cara perduta, o della ricerca di chi ci ha donato la vita, di un legame significativo o più spesso di una relazione tormentata, il dolore si sente e si riconosce chiaramente fin dal tempo dell’infanzia. Non solo ma ci costringe a diventare adulti in un attimo. Di sé scrive che a cinque anni, lasciata sola in un Istituto per bimbi orfani, sentì chiaramente come avesse compiuto all’improvviso diciotto anni.

La perdita dei luoghi amati in cui si nasce e si cresce, delle persone care che per vari motivi svaniscono, è una prova che accomuna tutti gli esseri umani, grandi e piccini, in ogni parte del mondo. E il dolore per la fine di una relazione che si pensava fosse per sempre, è l’esperienza più frequente fra quelle percepite più intensamente. Qualunque siano i motivi per cui ci si lascia o si è lasciati è sempre un accadimento che ci spiazza. L’autrice si chiede se sia meno affranto chi esce dalla porta del tempo, o semplicemente chi resta ed è costretto a fare i conti con mille domande a cui non sa e non può rispondere. Il dolore del cambiamento, dall’abbraccio caldo di nonna Carmela alle regole fredde e rigide del Collegio, prima di una assuefazione disperata, è inizialmente pervasivo, quasi da togliere il fiato. Priva di energie la piccola Deborah che non comprende, fino a demotivarsi rispetto a quel tutto che prima la incuriosiva e la interessava.

Talvolta la reazione è di rabbia, altra faccia del dolore che non la fa piangere, ultimo baluardo di resistenza, quando viene punita dalle suore assistenti a suon di ceffoni. Altre volte la collera si fa posto, preceduta da un buio dell’anima che la fa singhiozzare sotto le coperte, svuotata, smarrita, affamata più d’amore che del pane. La rabbia è un sentimento irruente come un mare in tempesta, spinge a reagire, muove all’azione per coprire l’angoscia e il senso di abbandono, rendendola in un certo qual modo più tollerabile. Una metafora efficace è quella di quando si cade. A chi non è mai capitato di inciampare e cadere battendo una parte del corpo? Il dolore è acuto, toglie il fiato. Inveire è solitamente la prima reazione. E ciò perché alzare il tono di voce con rabbia e infuriarsi, placa il dolore quanto più questo ci fa male. Ma se la rabbia è fisiologica e funzionale a scaricare il momento di crisi, provare dolore diventa alla fine come paradossalmente necessario.

Attraversarlo nelle varie situazioni così vivide ancora per Deborah Rossi e passare attraverso lo smarrimento, la perdita di senso, il vissuto di inutilità, confrontarsi con un sentimento di svuotamento, di ingiustizia, con la sensazione che niente possa mai cambiare, cosa che però avviene… tutto questo le sarà necessario perché il suo cuore guarisca. É difficile, talvolta appare impossibile, ma accade. Di fronte all’immobilità interiore che il dolore trascina, si sente l’urgenza di venirne fuori e di reagire, di porre termine all’angoscia ed è così se ne esce ma questo avviene. Come per miracolo e quando niente poteva lasciar immaginare una svolta positiva si spalancano le porte dell’amore familiare che contagia e fa alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti e nuove aurore.

Alla fine, l’amore si rivela come sempre efficace come un buon farmaco e riesce a nutrire quella piccola bimba oramai cresciuta che affamata e infreddolita ne aveva davvero necessità e urgenza. Deborah pian piano impara a lasciarsi attraversare dal calore dei sentimenti, non resistere loro, come le accadeva per paura di soccombere all’angoscia di una vita grigia come una nebbia d’autunno. Amare vuol dire per lei autorizzarsi a sentirsi serena, ricolmata di bene, orientata, leggera come ali di farfalla. Significa accettare di avere voglia di uscire da sé stessa, parlare parole di gioia, tornare a fidarsi della vita. Non esiste un vademecum della felicità. Ognuno prova gioia come può e come vuole. C’è chi resta incantato davanti ad un tramonto, chi per un esame ben riuscito all’università, chi per un  incontro ritrovato, chi per una pizza in buona compagnia, chi per un film a lieto fine, chi per una canzone che ricordi il primo amore, chi per una telefonata inaspettata…

Non ci sono ingredienti fissi, ciò che conta, perché la ricetta sia buona e facile da realizzare, è che la persona assecondi il proprio stato d’animo e attraversi le difficoltà personali guardando sempre oltre l’ostacolo. Il tempo trascorre veloce e la piccola Deborah dovrà lasciare la mano di Deborah ormai grande. La felicità è entrata nella sua vita. É quella possibilità che finalmente l’esistenza le dona per poter realizzare sé stessa in piena libertà. E grazie a questo stato d’animo che può attingere alle sue migliori risorse interiori. L’Amore, quello con la A maiuscola, è la forza più potente che esista che ci cambia nel profondo per farci rinascere e Deborah ora sa cosa voglia dire perché ne è circondata.

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