L’intervista – Alceo Lucidi e la figura intellettuale di Carlo Bo

di ROSITA SPINOZZI –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ricostruire la figura intellettuale di Carlo Bo – illustre critico letterario, giornalista, traduttore, docente di letteratura francese e spagnola – e sottolinearne la centralità all’interno della storia della cultura italiana del XX secolo. É questo il nobile intento che anima il libro “Bo.Una Biografia” (ed. Il Lavoro Editoriale) di Alceo Lucidi che verrà presentato, sabato 7 agosto alle ore 21.30 presso il Circolo Nautico Sambenedettese, nell’ambito degli “Incontri con l’autore”, organizzati dall’associazione “I Luoghi della Scrittura” e dalla Libreria Libri ed Eventi, a cura di Mimmo Minuto, con il patrocinio ed il sostegno dell’Amministrazione Comunale e della Regione Marche. Alceo Lucidi, nato a San Benedetto del Tronto nel 1974, ha seguito un percorso di studi da francesista specializzandosi in didattica generale delle lingue straniere moderne. Da sempre appassionato delle vicende storiche, politiche e letterarie della Francia e dei paesi francofoni, ha mutuato questo interesse, riversato anche nella sua attività di traduttore e saggista, dalla scuola urbinate. Si è laureato in lingue e letterature straniere nel 1998 presso l’Università degli Studi di Urbino, dietro la supervisione del suo docente di Storia della Letteratura francese, Giovanni Bogliolo, diretto e fidato collaboratore dell’allora Rettore Carlo Bo. L’intesa tra Bogliolo e Bo è stata così stretta che, dopo 52 anni ininterrotti di governo dell’ateneo e 19 riconferme plebiscitarie, Bo ha lasciato il suo posto di Rettore allo stesso Bogliolo il quale ha deciso di intitolargli l’Università feltresca.

Ed è proprio da questo snodo e dalla sua esperienza di studente presso l’ateneo urbinate che nasce il libro di Alceo Lucidi dedicato al critico letterario di origini liguri: Bo, infatti, è nato a Sestri Levante il 15 gennaio 1911. «Bo ha abbracciato il secolo passato e lo attraversato da intellettuale impegnato non solo nell’insegnamento ma anche nella critica letteraria, nel giornalismo di costume, svolto per oltre mezzo secolo, nell’attività di fine traduttore, nel fiorente mecenatismo culturale, nella (ri)scoperta di tanti scrittori, soprattutto marchigiani. – spiega Alceo Lucidi – Il minimo comun denominatore della sua sfaccettata personalità di intellettuale cattolico era la lettura, in cui Bo ha investito le sue migliori energie, sin dalla sua adolescenza e a partire dalla sua prima formazione: il liceo “Arecco” di Genova e l’incontro con il professore di greco, il poeta Camillo Sbarbaro».

Nel libro si dipana la sua stratificata vicenda umana…
«Prima il periodo fiorentino degli anni Trenta, quando da studente della locale facoltà di lettere entra in contatto con l’irripetibile società letteraria gigliata grazie anche all’azione delle riviste (tra tutte il “Frontespizio”), animata da fermenti di trasformazione culturale. Bo vi conosce Mario Luzi, Eugenio Montale, Carlo Betocchi, Piero Bargellini, l’editore Attilio Vallecchi, ma soprattutto entra in contatto con un tipo di cattolicesimo, quello appunto fiorentino, anticonformista e poco incline ai dogmatismi, ad una religiosità di facciata. È il tipo di spiritualità portata avanti dal vescovo Elia Dalla Costa e dal sindaco di Firenze degli anni ‘50 e ’60 Giorgio La Pira, in cui il giovane Bo si riconosce presto e che viene trattata nel terzo capitolo dell’opera».

Nel secondo capitolo, invece, si prende in considerazione la figura dell’accademico e del docente il cui magistero entra in profondità nel rinnovamento dell’Università di Urbino.
«Eletto in maniera piuttosto insperata nel 1947, si adopera immediatamente per mettere mano tanto ad una rigenerata e più snella gestione amministrativa dell’ateneo – mantenendo lo status di libera Università che, acquisito da Urbino nella seconda metà dell’Ottocento, verrà tenacemente preservato sino alla morte di Bo – quanto ad una riconfigurazione architettonica ed urbanistica della città e del territorio che è passata per i sapienti riusi e ristrutturazioni di tanti palazzi storici del centro cittadino. Opera da Bo promossa come mecenate e portata avanti da un abile architetto, Giancarlo De Carlo.  L’università viene resa a misura di studente, a più stretto contatto con i bisogni della comunità locale – da notare anche la lunghissima collaborazione tra Bo e il sindaco comunista Egidio Mascioli – riammodernata e portata competere con altre scuole di livello internazionale».

Per di più, l’accorta politica della cultura di Bo a Urbino, si concretizza in un uso particolarmente attento delle docenze.
«Mario Luzi per Letteratura comparate, Alessandro Parronchi per la Storia dell’arte, Mario Petrucciani e Claudio Varese per la Letteratura italiana; e nella trasformazione, avvenuta in qualche decennio, dagli anni Cinquanta agli Ottanta, dell’università un crocevia di incontri, scambi ed esperienze: dal centro di Semiotica e Linguistica (De Certeau, Levy-Strauss, Greimas, Todorov, Eco, Devoto, De Mauro), alla Scuola di Scienze Religiose (con Don Italo Mancini), passando per la fondazione di corsi di laurea (ben undici), seminari di studi, simposi, premi letterari (tra cui il Premio Montefeltro ad Urbino e il Frontino Montefeltro fondato nel 1982 in un piccolo borgo ai piedi del Monte Carpegna)».

La scuola del giornalismo di Urbino?
«É il retaggio della sua lunga militanza di editorialista ascoltato (e letto) dalle pagine della “Nazione” e, subito dopo il suo trasferimento a Milano nel 1944, di “Paese Sera”, del “Resto del Carlino”, del “Corriere della Sera”. Il giornalismo e la critica militante si fondevano, nell’ininterrotto pensiero critico, all’interno della sua produzione diaristica (alla maniera degli amati scrittori francesi: Mauriac, Bernanos, Rivière). Infine l’incontro con le Marche, con le sue persone, semplici e umili, tenaci e laboriose, al pari dei liguri, e con il suo paesaggio di grande fascinazione poetica».

Bo scrisse molto anche sugli autori marchigiani.
«Sì e contribuì, assieme al critico letterario, giornalista e saggista, Carlo Antognini, a ricostruire negli anni Settanta una linea della letteratura marchigiana, partendo da Leopardi, passando per Bartolini, Volponi, Bigiaretti e arrivando fino a contemporanei del calibro di Umberto Piersanti ed Eugenio De Signoribus. Possiamo allora concludere che Carlo Bo è stato un umanista con un suo personale umanesimo, basato sullo studio e sulla costruzione di un’immagine intellettuale mai chiusa in se stessa ma piuttosto aperta alle diverse manifestazioni di pensiero».

Motivo per cui il tuo libro può anche considerarsi come un’opera collettiva, nata da tante indicazioni e testimonianze di persone che hanno conosciuto Bo e fondata sul rigore metodologico dell’impianto saggistico.
«Esattamente. Direi anche che il coltivato ecumenismo di Carlo Bo, derivato dalla scuola fiorentina, gli valse il consenso pressoché unanime della società letteraria ed accademica e la nomina a senatore a vita per alti meriti culturali, nel lontano 1984, da parte del Presidente Sandro Pertini. In prospettiva futura, assieme all’editore Giorgio Mangani di Ancona, mi sto impegnando a promuovere la figura di Carlo Bo sia attraverso i normali canali istituzionali (biblioteche, fondazioni e università) sia tramite le scuole, con progetti mirati per gli studenti dell’ultimo anno delle superiori, per inquadrare Bo nel suo tempo e capire a pieno l’influenza esercitata dall’intellettuale ligure su più di una generazione di scrittori nel periodo tra le due guerre, nell’ambito della corrente letteraria denominata “Ermetismo”».

A tal proposito ci sono già progetti in fieri?
«Con l’Università di Urbino e il comitato scientifico della Fondazione Carlo e Marise Bo, che raccoglie e gestisce il cospicuo lasciato libresco del professore – una biblioteca d’autore di oltre centomila volumi – si sta studiando, ad esempio, la possibilità di presentare la monografia all’interno degli eventi celebrativi dedicati al Rettore per i vent’anni dalla scomparsa. Tra gli eventi c’è un interessante mostra a cura di Giorgio Tabanelli contenente numerosi documenti originali (riviste, carteggi, volumi) e riguardante, soprattutto, gli anni di formazione di Carlo Bo a dimostrazione dei sodalizi intellettuali da lui stabiliti con alcuni dei massimi esponenti della cultura italiana, e non solo, del XX secolo».

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