Omicidio di Lecce e pestaggio di Colleferro: il male va espiato e non “tollerato”

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

Una confessione che lascia sgomenti tanto quanto l’efferatezza del delitto stesso. Nessuna delle ipotesi formulate inizialmente si è rivelata fondata. Nessun movente di carattere economico, niente di riconducibile al lavoro di una delle vittime. Non è stato un ex fidanzato violento e impazzito, un maniaco sessuale, un sicario del crimine organizzato, qualcuno legato all’ambiente delle scommesse clandestine. A uccidere il trentenne arbitro di calcio Daniele De Santis ed Eleonora Manta, la coppia di fidanzati di Lecce, sarebbe stato l’ex coinquilino. Antonio De Marco, un ragazzo di appena ventun anni, uno studente di Scienze infermieristiche e tirocinante all’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, una persona apparentemente tranquilla.

Un delitto premeditato da tempo, pianificato nei minimi dettagli, dal percorso lontano dalle telecamere alla copia delle chiavi di casa, dagli strumenti per torturare le vittime a quelli per pulire casa dopo il delitto, fino all’arma con cui uccidere. Li ha colpiti ripetutamente, sul corpo, in volto, inseguiti per le stanze, dentro e fuori casa, sul pianerottolo, per le scale, senza pietà. Più di sessanta coltellate. Immagino occorra lucidità e tanta forza fisica per tenere ferma la vittima, infilzare il corpo, poi estrarre l’arma e infierire di nuovo, e ancora, e ancora. De Marco aveva vissuto per un anno in affitto in quello stesso appartamento, finché era arrivata anche la fidanzata di De Santis. Una coabitazione a tre complicata a cui quest’ultimo aveva posto fine, tenendo la casa per sé. Dunque da un lato una coppia innamorata e felice e dall’altro lato un ragazzo solo e arrabbiato. Niente di più banale e proprio per questo terrificante. Può davvero essere questo il movente di un’azione condotta «con spietatezza e totale assenza di ogni sentimento di pietà verso il prossimo», come ha scritto il P.M. nel provvedimento di fermo?

La verità è che dietro un delitto non sempre c’è un movente e qualche volta si ammazza anche senza un motivo. Penso all’omicidio di Colleferro, a quel povero Willy pestato a sangue finché non respira più solo perché aveva difeso un amico. Assistiamo a un crescendo di violenza, specie fra i più giovani, che non prendiamo sufficientemente in considerazione. In famiglia, a scuola, per strada, tra sconosciuti, ovunque.  “Non è bullismo, si scherzava”. “Ti ha picchiato perché è geloso e ti ama”. “Voleva solo dargli una lezione”. C’è una tendenza a minimizzare, a coprire, ad assolvere. Non si tratta di mettere in galera le persone e buttare la chiave, si tratta di responsabilizzare, di non coprire ma denunciare, di prendere consapevolezza che il male va espiato e non va tollerato.

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