Coronavirus, Fides Vita a sostegno della Cei: «Anche la Chiesa può garantire norme di sicurezza»

di REDAZIONE –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO –

In seguito alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile, la CEI ha rivolto al Governo Italiano la richiesta di inserire anche le esigenze della Chiesa nella riapertura delle attività prevista per il 4 maggio, concedendo l’autorizzazione alla ripresa delle celebrazioni eucaristiche comunitarie, nel pieno rispetto delle norme igienico sanitarie necessarie per il contenimento della diffusione del Covid-19. A sostegno della richiesta della CEI e in risposta all’acceso dibattito che ne è scaturito, il Movimento Fides Vita  ha divulgato una nota stampa. Di seguito riportiamo il testo:

«Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del Covid-19, la Chiesa Cattolica ha mostrato piena comprensione e totale disponibilità a collaborare con il Governo Italiano perché le misure di contenimento via via adottate fossero comprese e rispettate da tutti i cittadini. Insieme alla scuola, i luoghi di culto cattolici sono stati i primi a sospendere non solo le proprie attività pastorali ma anche le sacre celebrazioni, come mai nella storia era prima accaduto, neppure in tempo di guerra. Anche alla luce di questi ultimi due mesi, l’intervento della Conferenza Episcopale Italiana, successivo alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri di domenica 26 aprile, non può dunque essere semplicisticamente ridotto ad una capricciosa pretesa o ad una sorta di invito alla disobbedienza civile, come taluni hanno voluto intendere.

Allo stesso modo, appare del tutto privo di onestà intellettuale tentare di contrapporre alla Nota della Conferenza Episcopale Italiana le parole pronunciate da Papa Francesco all’inizio della Santa Messa celebrata in Santa Marta il 28 aprile: l’invito del Santo Padre alla prudenza e all’obbedienza descrive appieno la condotta tenuta dai Vescovi e da tutti i fedeli e costituisce il terreno sul quale ciascuno di noi si muove ora e si muoverà in futuro.Del resto, poi, gli interventi magisteriali vanno sempre considerati nella loro interezza e all’interno del contesto in cui vengono pronunciati, senza estrapolarne pretestuosamente parti poi interpretate ad avvallo delle proprie posizioni. Ne è dimostrazione il fatto che chi estremizza l’invito del Papa alla prudenza non considera, ad esempio, ciò che ha detto il 17 marzo, sempre a Santa Marta, quando si è soffermato sul fatto che “celebrare la Messa senza popolo è un pericolo, queste modalità a distanza sono legate al momento difficile. Questa non è la Chiesa, è una Chiesa in una situazione difficile”.

Ciò che il Papa e i Vescovi, in comunione con lui, stanno richiamando è un altro sguardo, uno sguardo intero sull’uomo, su ogni uomo. “L’uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale… quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione” (Giovanni Paolo II, Redemptorhominis, 14). Ciò che scrisse san Giovanni Paolo II è al cuore, è al centro dello sguardo della Chiesa. L’uomo nella sua interezza è quanto la Chiesa invita a guardare, a considerare, a custodire. Questa passione per l’uomo, per ogni uomo, abbraccia tutto, proprio tutto: dal bisogno più profondo del cuore alla salute fisica. Questo amore all’uomo, ad ogni uomo, a tutto l’uomo, il Papa e i Vescovi continuano a testimoniarci e a richiamarci.

Ora, il Presidente del Consiglio ha annunciato che si aprirà per tutti una fase nella quale si dovrà “convivere con il virus”. Ciò significa che la tutela della salute pubblica dovrà confrontarsi con la tutela di altri beni, tutti importanti, persino costituzionalmente garantiti. Per questo, con tutta la cautela del caso, si riapriranno gradualmente spazi di vita personale, sociale, economica, sportiva, culturale. Dentro la prudenza e l’obbedienza richiamata dal Papa, i Vescovi chiedono che si tenga conto – come peraltro promesso – anche di quel bene che per i cristiani costituisce il fondamento stesso della vita.
Nessun privilegio, nessun capriccio, nessuna disobbedienza civile: semplicemente l’ardente desiderio che venga considerata una libertà che, per quanto non economicamente produttiva, tocca la radice di un popolo più profondamente di quanto si possa immaginare ed è il fondamento e l’anima della vita cristiana.

Nessuna pretesa di sostituirsi alla scienza (che, comunque, quando opportunamente riconosce i propri naturali limiti, non si presenta con pareri univoci e inappellabili sentenze): soltanto il bisogno di affermare che come è possibile stare in sicurezza in una fabbrica o in un negozio o in un museo, così è possibile garantire anche in una chiesa, anche durante una celebrazione, le necessarie norme igenico-sanitarie. Onestamente, a fronte di un’arbitraria discriminazione, è davvero difficile trovare argomenti per negare la violazione della libertà di culto e del relativo dettato costituzionale. Francamente, di fronte alle attuali disposizioni, è difficile trovare la ragionevolezza di una norma che, ad esempio, fissa il limite di quindici persone per la partecipazione ad un funerale, essendo del tutto evidente che quel numero di persone ha un impatto ben diverso in termini di distanziamento sociale se collocato in una grande cattedrale o in una piccola chiesa di campagna.

Del resto, che tali considerazioni non siano prive di buon senso lo dice il fatto che da più parti, anche non cattoliche, anche all’interno delle forze politiche che governano il Paese, si stanno levando voci in questa direzione. Continuando ad esprimere profonda e commossa gratitudine al Santo Padre Francesco e ai nostri Vescovi per come ci stanno guidando e accompagnando in questo tempo di profonda prova e radicale richiamo alla conversione, desideriamo manifestare il nostro filiale sostegno alla richiesta della CEI affinché la riapertura ai fedeli delle celebrazioni eucaristiche possa da subito rientrare nella considerazione del Governo, secondo prudenza, secondo ragionevolezza, secondo giustizia, secondo principi di pari dignità – la quale non proviene solo da sacrosante considerazioni di natura economica.

Come i cristiani dei primi secoli, a chi ci chiede ragione della nostra richiesta rispondiamo: “Sine Dominico non possumus” – noi non possiamo essere, noi non possiamo
vivere senza la Domenica. Il termine “Dominicum” esprime un più amplio significato. Non indica solamente il giorno del Signore, ma rinvia immediatamente a Colui che ne costituisce il contenuto, la realtà: Cristo risorto e la sua reale presenza nell’evento eucaristico. È ciò che abbiamo di più caro e senza il quale non possiamo vivere. È la presenza decisiva di tutta la nostra vita e da cui dipende tutto” (Nicolino Pompei, Quello che abbiamo di più caro è Cristo stesso).

Così come – alle condizioni stabilite – sarà possibile guadagnare nuovamente spazi di libertà, ci uniamo alla voce della Chiesa, nostra Madre, per chiedere che tra questi spazi di libertà vi sia quello che costituisce la nostra vita, la vita di tanti. Lo chiediamo nella più piena assunzione di responsabilità; lo chiediamo nella più profonda immedesimazione con chi soffre e con chi lavora per lenire questa sofferenza. Lo chiediamo per il bene dell’uomo. Di ogni uomo. Di tutto l’uomo».

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